Perché è così difficile reinventare l’articolo?
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Semafor è – concedimelo – forse il nome più brutto mai scelto per una media company.
Nonostante questo, la futura creatura di Justin Smith e Ben Smith si è data obiettivi ambiziosi e una missione, per me, interessantissima: reinventare l’articolo.
Ma cosa significa “reinventare l’articolo”? Nell’idea di Semafor, e pure nella mia, vuol dire ripensarne la struttura, cercando di innovarla per fare in modo che risponda ancora meglio ai bisogni di lettrici e lettori.
Il design di un articolo di giornale, se ci pensi, non è mai cambiato in oltre cento anni: un titolo, un sommario, una foto e il testo. Era così sulla carta stampata ed è così anche sul digitale.
Certo, certo, ci sono state novità e sperimentazioni.
Alcuni giornali online hanno provato soluzioni grafiche più originali, aggiunto suggerimenti di lettura, aumentato il numero di immagini, video ed embed vari (dai post social alle mappe interattive).
Altri hanno innovato a livello grafico e di esperienza: penso allo scrollytelling, oppure alle “storie in formato storie” che cercano di replicare le nostre esperienze sui social, e che ha testato con soddisfazione anche il Sole 24 Ore.
Ma la sostanza, se guardiamo ai grandi numeri, non è cambiata: il formato standard dell’articolo è rimasto essenzialmente sempre uguale a se stesso.
Ora Semafor, che dopo avere raccolto 25 milioni di dollari si prepara a lanciare ufficialmente in autunno, si è posta l’obiettivo di cambiare le cose.
“Stiamo cercando di recuperare la scatola nera dell’articolo e di aprirla completamente”, ha spiegato Ben Smith al New York Times, il giornale di cui è stato media editor per quasi due anni.
Gli articoli di Semafor – riporta il Times con una certa enfasi narrativa – saranno “minimali, con uno sfondo giallo pallido e titoli blu cobalto”, ma soprattutto verranno “spezzettati in sezioni” per distinguere meglio tra i fatti chiave della notizia, l’analisi dell’evento e le opinioni del giornalista.
Inoltre, le firme dei reporter avranno un peso in pagina simile (se non uguale) a quello dei titoli, “nell’intento di coltivare una relazione diretta tra i giornalisti e il loro pubblico”.
Nella primissima incarnazione del sito di Semafor – andata online una decina di giorni fa – di questa innovazione ancora non c’è traccia: il sito per ora è solo una vetrina per presentare il progetto.
La scatola nera è ancora in laboratorio, dunque, pronta per essere analizzata e ricomposta lontano dai nostri occhi. E per scoprire se il risultato sarà veramente innovativo, dovremmo aspettare ancora qualche mese.
Pezzi senza futuro
Semafor non è il primo giornale che, in questi anni, annuncia di volere “reinventare l’articolo”. Ai predecessori, però, non è andata così bene.
Uno degli esempi più noti è senz’altro quello di Circa News, la startup editoriale che scomponeva i testi giornalistici in tanti piccoli chunk di informazione.
Gli articoli di Circa si adattavano rispetto ai bisogni dei lettori: se ai first-time visitor veniva raccontata la storia dal principio, ai returning visitor venivano mostrati soltanto gli aggiornamenti rispetto alla loro ultima visita sull’app.
I contenuti venivano prodotti già “a pezzetti” (news atoms) dai giornalisti, per facilitare l’assemblaggio progressivo della notizia. Inoltre, un po’ come promesso da Semafor, i fatti erano chiaramente separati dalle opinioni.
Circa è fallita nel 2015, a tre anni dal lancio (se ti interessa, qui c’è un’ottima analisi dei motivi del flop).
Altri hanno cercato di creare articoli articoli “aumentati” usando le context card, ovvero dei piccoli box testuali in grado di fornire ai lettori il contesto e gli “episodi precedenti” di una storia ad alta complessità, senza occupare spazio aggiuntivo in pagina.
Ci avevano provato – con approcci leggermente diversi – diverse testate tra cui Vox, Explaain, De Correspondent e Fold. In molti casi questi esperimenti sono stati abbandonati, in altri sono stati i giornali stessi a chiudere i battenti.
Il progetto più corposo di reinvenzione dell’articolo digitale, però, è probabilmente quello sperimentato dal team ricerca e sviluppo della BBC tra il 2017 e il 2018.
La innovation unit dell’emittente pubblica britannica studiò a fondo i bisogni del pubblico e il modo in cui i lettori – in particolare i più giovani – interagivano con le singole componenti del loro sito, e ipotizzarono una serie di alternative al formato tradizionale dell’articolo.
Anche questo tentativo, però, non sembra avere portato particolari frutti: cinque anni più tardi, infatti, i pezzi di bbc.com sono strutturati come quelli di chiunque altro.
Una missione davvero impossibile?
Forse no, ma dipende da quale prospettiva la si guarda.
Qualcuno è davvero riuscito a portare innovazione nel formato-articolo, partendo dalla formattazione dei paragrafi.
Penso a Morning Brew e soprattutto ad Axios, due progetti editoriali lanciati a metà dello scorso decennio, i quali hanno introdotto il concetto di smart brevity come scelta strutturale per agevolare la lettura e la comprensione del testo.
C’è poi un livello sottostante di interventi – più tecnologici – che non si riflettono in modo evidente sul front-end, e cioè l’aspetto esterno del sito, restando quindi invisibili ai nostri occhi.
Il New York Times e il Washington Post sono in prima linea in questa sfida tecnologica, innovando continuamente il proprio sistema di gestione dei contenuti, anche per adattare questi ultimi al meglio per i piccoli schermi.
Un approccio simile a quello di ProPublica, che nel 2021 ha sperimentato un nuovo design per i suoi articoli, rendendoli più coinvolgenti e accessibili.
Ma è soprattutto “grazie” al covid, che è stato un grande acceleratore dell’innovazione dei formati giornalistici, che le testate hanno iniziato a cercare soluzioni migliori per raccontare la complessità di un evento globale in continuo mutamento, perseguendo una migliore integrazione tra testi, mappe e dati.
L’esempio principe è quello del live blog, sicuramente il formato-articolo che più si è rinnovato in quest’ultimo biennio: schede espandibili, aggiornamenti automatici, box riassuntivi e timeline sono diventati, grazie all’esplosione di interesse verso il tempo reale, padroni della scena.
Il prossimo incrocio
L’innovazione non è sempre visibile ai nostri occhi: eppure c’è.
Tuttavia, sembra essere ancora lontano il giorno in cui la struttura base degli articoli – titolo, sommario, foto, testo – possa cambiare in modo davvero radicale.
Forse perché, secondo il Digital News Report 2022, l’articolo è ancora uno strumento valido per informarsi: come avevo scritto un paio di settimane fa, la maggior parte delle persone preferisce ancora informarsi leggendo un articolo piuttosto che guardando un video.
Tra i motivi ci sono la maggiore velocità di assimilazione dei concetti e la sensazione di avere più controllo sull’esperienza di fruizione.
L’articolo, insomma, resta strutturalmente ancora valido — anche perché ci fornisce un modello mentale già codificato per processare le informazioni.
E questo è un vantaggio sia per i giornalisti, che sono stati educati a scrivere un pezzo seguendo determinate regole, sia per i lettori, le cui pupille possono effettuare una scansione rapida delle informazioni senza un grande sforzo cognitivo.
Al prossimo incrocio però c’è Semafor, con le sue grandi ambizioni. In autunno sapremo se l’innovazione avrà luce verde, oppure se la missione di reinventare l’articolo dovrà, anche per i due Smith, fermarsi allo stop.
Alla prossima Ellissi
Valerio
Ciao, mi presento. Mi chiamo Valerio Bassan e lavoro come consulente di strategia digitale nel mondo dei media e del giornalismo, per clienti italiani e internazionali. Questo post è tratto da Ellissi, la mia newsletter settimanale. Iscriviti qui.
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