Undici idee dal Digital News Report 2021

di | 02 Luglio 2021

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È quel momento dell’anno.

È il momento in cui chiunque si interessi di media e giornalismo finisce sul sito del Reuters Institute for the Study of Journalism per consultare il Digital News Report, l’analisi più completa sulle abitudini di consumo dell’informazione digitale nel mondo.

Io, come immaginerai, non faccio eccezione.

Il Report 2021 è particolarmente interessante, poiché fotografa un anno – il 2020 – in cui la pandemia ha giocato un ruolo fondamentale nel plasmare il nostro rapporto con il giornalismo.

I dati sono stati raccolti nel primo trimestre di quest’anno attraverso 92.000 interviste in 46 stati. Un lavoro mastodontico.

In questi giorni mi sono messo all’opera, scandagliando le 164 pagine del documento (tempo di lettura: 8 ore) alla ricerca di notizie e dati interessanti per capire meglio dove sta andando l’informazione, a livello globale.

Il risultato lo puoi leggere qui sotto: 11 cose che ho scoperto, e che spero possano esserti utili da subito nel tuo lavoro quotidiano.

1 ● Non ce n’è crisi 👀

I giornali sono in crisi da vent’anni. Ma due persone su tre non lo sanno.

Il 19% dei lettori pensa che le testate guadagnino più di 10 anni fa. Un altro 14% ritiene che le entrate siano rimaste sostanzialmente stabili. Il 36% invece non ne ha idea.

Ma soprattutto, più di metà delle persone non ritiene che questo sia un problema (53%).

2 ● Più fiducia nell’informazione, meno interesse 🦥

Nel 2020 pandemico la fiducia nei media è cresciuta, così come il consumo di news.

Tuttavia, si nota una discrepanza tra il bisogno di informazione e l’interesse per l’informazione.

Se osserviamo gli ultimi cinque anni, l’interesse per le news in molte nazioni è infatti crollato: -17% in Spagna e nel Regno Unito, -12% in Italia e in Australia, -8% in Francia e Giappone.

Il calo negli USA è stato addirittura dell’11% in un anno, ma qui si paga l’abissale differenza di sovraesposizione mediatica tra Trump e Biden.

Sempre più persone, si legge nel report, “si stanno allontanando dai media e dall’informazione, in alcuni casi definitivamente”.

3 ● Siti e app arrancano 🐌

Soltanto una persona su quattro (25%), oggi, si informa accedendo direttamente a un sito o un’app di un giornale.

Il trend è negativo – meno 3% rispetto al 2019, meno 7% rispetto al 2018 – e risulta più accentuato tra gli under 35.

Le piattaforme (25%), i motori di ricerca (26%) e gli aggregatori (8%) si confermano invece ‘ponti’ fondamentali nel loro ruolo di connessione tra le audience e le testate — con scarsa soddisfazione di queste ultime.

Nemmeno la pandemia ha risollevato la percentuale di fruizione via desktop: oggi lo smartphone è utilizzato per leggere le notizie nel 73% dei casi. Un anno fa era il 69%.

In Europa però la differenza è meno marcata: il 54% predilige lo smartphone, contro il 30% che usa il computer.

4 ● Stiamo già raggiungendo il subscriptions peak? ⛰

La percentuale di persone disposta a pagare per le news online continua a salire.

In 20 paesi analizzati, il 17% degli intervistati ha detto di avere pagato per l’informazione digitale durante il 2020 (tramite abbonamenti o donazioni).

Problema numero uno. La crescita è lenta: +2% rispetto al 2019, ma solo +5% rispetto al 2016.

Problema numero due. Chi ancora non paga si dice poco disposto a cambiare idea in futuro: nel Regno Unito, per esempio, solo l’8%.

Possiamo analizzare questi dati in due modi. Pessimisticamente: stiamo raggiungendo il ‘picco degli abbonati’. Ottimisticamente: abbiamo ancora tanto margine di crescita.

Tuttavia, per sposare questa seconda visione, è evidente che non basterà continuare a fare quanto stiamo facendo oggi. Servirà sperimentare con strategie diverse e generare una nuova ‘domanda’ tra i free surfers più ostinati.

5 ● Vincono sempre i soliti🎖

La dinamica è quella del winners-take-most: in ogni stato c’è una manciata di pubblicazioni che attira la maggioranza degli abbonati. 

Questo è evidente soprattutto negli Stati Uniti (il 45% dei paganti si divide tra New York Times, WaPo e WSJ) e nel Regno Unito (52% è ripartito tra Times, Telegraph e Guardian). 

In Finlandia addirittura è un singolo giornale, l’Helsingin Sanomat, ad attirare il 48% degli abbonati complessivi.

6 ● Lo stato delle news sui social🍸

Quali sono le piattaforme più popolari per trovare, condividere e discutere le notizie?

Facebook resta al primo posto (32%), pur confermandosi in trend negativo da cinque anni. 

A seguire ci sono YouTube (20%) e WhatsApp (17%), quella che cresce di più insieme a Instagram, TikTok e Telegram. 

Interessanti le motivazioni sul perché ci si affidi a una piattaforma piuttosto che un’altra (dati UK): Twitter, ad esempio, è molto utilizzata per seguire le breaking news. YouTube, invece, per trovare prospettive lontane dai media mainstream. 

Su Facebook invece l’accesso alle notizie è spesso incidentale: il 56% degli intervistati si imbatte in articoli e video di informazione “mentre si trova lì per altre ragioni”. Sorprendente, eh?

7 ● Chi seguono gli under 35? 🤳

Su Instagram, Snapchat e TikTok sono le cosiddette internet personalities (influencer, personaggi tv, divulgatori celebri) il primo catalizzatore di attenzione tra gli under 35 quando si parla di attualità.

Nel 38% dei casi sono loro a guidare l’agenda e ad attrarre l’interesse dei giovani, indirizzandone anche le opinioni.

Al secondo posto ci sono le “persone comuni” (17%), seguite a poca distanza dai giornali e dai giornalisti (16%). 

L’influenza dei politici su questa audience e su queste piattaforme è veramente poca roba.

8 ● La (sotto)rappresentazione della Gen Z 🧐

Nei paesi dell’Europa occidentale, il gruppo demografico dei 18-24enni è quello che si sente meno rappresentato dai media tradizionali. 

E non solo: i giovani sono incazzati per lo scarso spazio fornito agli argomenti che gli stanno a cuore. 

Anche per questa ragione il 40% di loro predilige i social come primo canale di informazione, dove può trovare fonti alternative di news più vicine ai loro interessi.

È ovvio che la persistenza di simili gap tematici e relazionali renderanno difficile ai media tradizionali attrarre lettori, e tantomeno abbonati, under 25.

9 ● Lo stallo sui podcast 🎙

Il 31% degli intervistati ha dichiarato di avere ascoltato un podcast nel corso dell’ultimo mese. 

La cifra è rimasta la stessa di un anno fa: un mancato incremento dovuto probabilmente al brusco stop al pendolarismo causato dalla pandemia.

Meanwhile: ho scoperto che il 17% degli Europei non ha idea di cosa sia un podcast. C’è ancora tanto da fare, insomma.

E come si scopre un podcast? In USA soprattutto grazie al passaparola di amici e familiari, in Europa principalmente attraverso i motori di ricerca.

10 ● A cosa servono i giornali locali? 🏙

Rispondere a questa domanda appare sempre più difficile.

Nel 2020, le persone si sono affidate alle testate locali per due ragioni principali: avere informazioni sulla pandemia da coronavirus nel territorio (53%) e leggere le previsioni meteo (50%).

Tutti gli altri temi, a partire dalla politica di zona (32%), sono considerati driver meno rilevanti.

Altro aspetto interessante che emerge dal report: molti sostengono l’importanza dell’informazione locale a parole, ma non leggono nemmeno una testata del proprio territorio.

11 ● E in Italia, che succede? 🍕

Il Digital News Report 2021 dedica diverso spazio anche ai dati relativi al nostro paese. Eccone alcuni interessanti:

→ Il numero di chi paga per le news online è aumentato del 3% in un anno (ora è un italiano su 13);

→ L’età media degli abbonati digitali di Repubblica e Corriere della Sera è 50-55 anni;

→ Solo il 3% degli italiani è abbonato a testate internazionali (in Spagna è l’11%);

→ Il 18% degli italiani legge i quotidiani cartacei (-4%);

→ Il 42% degli italiani è contrario all’idea che lo stato aiuti i giornali in crisi economica.

→ Il 40% degli italiani dice oggi di fidarsi dei giornali, un netto aumento (+11%) rispetto al 2019.

E per questa settimana è tutto, direi. Ma ti consiglio ovviamente di leggere tutto il report, che ne vale la pena.

 

Alla prossima Ellissi
Valerio

Ciao, mi chiamo Valerio Bassan e mi occupo di media innovation e nuove economie del digitale. Aiuto i miei clienti a creare nuove relazioni con le loro community attravero strategie editoriali, marketing, dati e tecnologia. Questo è il mio sito.

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