La tecnologia sei tu

di | 18 Febbraio 2022

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La propaganda esiste da sempre. O almeno da quando esiste la politica.

Già ai tempi dell’Antica Roma gli imperatori avevano escogitato un modo per veicolare i propri messaggi all’interno del regno: le monete.

Quel particolarissimo mezzo tecnologico veniva usato non solo per acquistare merci, ma anche per raccontare ai sudditi gli avvicendamenti al potere, le vittorie militari, la diffusione del cristianesimo.

A sfruttare più di chiunque altro questo sistema di propaganda fu Costantino il Grande, il sanguinoso imperatore che regnò dal 306 al 337.

Ogni sei mesi, Costantino dava ordine alle zecche imperiali di modificare le frasi e le effigi rappresentate sulle facce dei denari.

Quando stava per scoppiare una guerra, le monete raffiguravano l’imperatore munito di elmo.

Al contrario, quando Costantino appariva a capo scoperto, si prospettava pace per il tempo a venire.

Su una moneta l’imperatore fece scrivere “Gloria Exercitus” per ingraziarsi il favore delle truppe prima di un’importante battaglia.

Su un’altra incise il volto del figlio Crispo, suo erede prediletto, per presentarlo al popolo (salvo poi cambiare idea, ucciderlo e far ritirare dall’impero tutte le monete già emesse).

Come ha scritto Barbero, a quel tempo le monete erano “un barometro sensibilissimo del modo in cui l’imperatore desiderava essere percepito”.

L’uso di una moneta come veicolo di un messaggio di propaganda non è dunque una novità.

Il parallelismo contemporaneo, va da sé, è quello con il presidente di El Salvador Nayib Bukele, che a fine 2021 ha legalizzato l’utilizzo dei bitcoin nel piccolo stato centro-americano.

Bukele, che su Twitter si definisce il ceo del suo paese e che viene definito dalla stampa tecnocaudillo (il dittatore tech) sta usando i Bitcoin per ‘ribrandizzare’ il proprio paese.

L’obiettivo è “costruire una reputazione di El Salvador che non sia più legata solo a corruzione e violenza”, ha spiegato l’analista Tiziano Breda su HuffPost.

Nonostante gli effetti sulla situazione economica del paese, almeno fino a questo momento, siano stati disastrosi, non c’è dubbio che la mossa abbia messo El Salvador al centro dell’attenzione internazionale.

La tecnologia morale

Ogni tecnologia, incluse le cripto, possono essere usate in tanti modi: per aiutare le comunità, per migliorare la vita delle persone.

Ma anche per propagandare messaggi politici, per affermare il proprio potere, per attaccare il nemico.

Questo oggi è più vero che mai.

La Russia ha reso i cyber-attacchi una parte fondamentale del proprio modello di hybrid warfare.

In Ucraina, organizzazioni non governative raccolgono donazioni in criptovaluta per finanziare le attività dell’esercito di stato.

La Cina sottopaga un esercito di troll – la cosiddetta 50 Cent Army – per infiltrarsi nelle conversazioni politiche su WeChat, con lo scopo di monitorarle e inquinarle a favore del governo.

Come sempre, la colpa di queste derive militari non è dei computer o dei software, ma dell’uso che decidiamo di farne.

Tutte le tecnologie digitali che fungono da leve strategiche possono essere trasformare in armi potenziali.

Possono essere usate ‘bene’ o ‘male’ — termini, per altro, che cambiano significato a seconda del prisma da cui li si analizza.

Per il teorico canadese Marshall McLuhan la tecnologia è un’estensione dei nostri sensi, e come tale plasma le nostre società e influenza la nostra visione del mondo.

Nel suo War and Peace in the Global Village, McLuhan definì la guerra in Vietnam una “television war”, spiegando che gli americani non avrebbero perso il conflitto al fronte, quanto piuttosto nei salotti delle famiglie americane.

L’informazione come tecnologia – intesa come aggregazione di contenuti, di canali e di strumenti – è sottesa alle stesse logiche.

La prima legge di Melvin Kranzberg, professore americano morto nel 1995, offre una visione quanto mai accurata del problema:

“La tecnologia non è né buona né cattiva; ma non è nemmeno neutrale”.

L’assioma riconosce l’influenza antropica sulle tecnologie.

L’idea cioè che i computer, i programmi e gli algoritmi sono tanto imparziali quanto gli umani che li creano.

Il tema, centrale oggi come domani, degli algorythm bias – i preconcetti delle intelligenze artificiali che nascono a nostra immagine e somiglianza – è la perfetta incarnazione della visione di Kranzberg.

I dati e le intelligenze artificiali non sono armi in sé, ma possono facilmente diventarlo: la militarizzazione di ogni tecnologia – quella che in inglese si definisce weaponization – è roba vecchia quanto il mondo, come l’esempio costantiniano ci insegna.

Quando sento parlare delle cripto come strumento innatamente dannoso e creato “non per il bene dell’umanità”, invito sempre a mettere le cose in prospettiva.

La decentralizzazione è una forza potente e necessaria, e sta già contribuendo a cambiare alcuni meccanismi di potere finanziario che hanno dimostrato negli anni tutta la loro fallibilità.

Allo stesso tempo è utile mantenere un po’ di sano scetticismo, anche sul tema del web3 — che ritengo essere un’idea poderosa, ma che al momento è un puzzle cui ancora mancano troppi pezzi.

Bocciato senza appello è, fino a questo momento, il metaverso.

Non per la tecnologia in sé, quanto piuttosto per il modo in cui ci sta venendo venduto dall’alto, come un prodotto su uno scaffale.

A oggi il metaverso è soprattutto un’operazione commerciale che nasce con l’intento di replicare dinamiche estrattive che sull’internet odierno stanno arrivando a saturazione. 

Onestamente non vorrei indossare un visore soltanto per vedere più da vicino gli ingranaggi che mi schiacciano.

Lo spirito giusto

Dai robot alla blockchain, ogni tecnologia può essere un’arma e uno scudo, può essere utilizzata bene o male.

Ma se non esistono un’etica e una morale intrinseche nelle tecnologie che utilizziamo tutti i giorni, esiste invece un approccio consapevole al nostro modo di utilizzarle.

La scelta dipende in buona parte da noi — ma anche, purtroppo, da chi ci governa (e qui manca competenza) e da chi monetizza le nostre identità digitali (e qui c’è un disallineamento di obiettivi tra aziende e utenti).

In un’epoca di presidenti-meme, di propaganda coin, e di votazioni via token, abbiamo bisogno di nuove skill e di nuove consapevolezze per costruire il futuro. E, se necessario, per difenderci o attaccare.

Ma prima di tutto dobbiamo trovare un terreno comune. Anche solo per avviare una conversazione migliore.

Per fare sì che avvenga, non possiamo che ripartire dalla sesta legge di Kranzberg, che inizia così:

“Technology is a very human activity”.

Riconoscere che la tecnologia siamo noi è già un primo passo.

Alla prossima Ellissi
Valerio

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