Parliamo di Domani, con Stefano Feltri

di | 12 Giugno 2020

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Da media nerd quale sono, sto seguendo il lancio di Domani con particolare attenzione: su cosa significa – per me – lanciare un giornale nuovo nel 2020 ne avevo scritto qualche settimana fa, proprio su Ellissi.

Oggi provo a fare il punto sulla strategia del futuro giornale di Carlo De Benedetti insieme al suo direttore, che ha risposto a qualche domanda in esclusiva per i lettori di questa newsletter.

Ma cominciamo dall’inizio.

Domani è un nuovo giornale generalista che lancerà a settembre: sarà sia cartaceo che online, e verrà sostenuto da una fondazione che ne dovrebbe garantire l’indipendenza editoriale, con un modello simile a quello del Guardian.

L’editore sarà Carlo De Benedetti, che non ha bisogno di grandi presentazioni (ma nel caso servissero, c’è sempre Wikipedia).

Il direttore sarà, come dicevo, Stefano Feltri: classe 1984, ex vicedirettore del Fatto Quotidiano, Feltri è reduce da un’esperienza di direzione del sito ProMarket.org, pubblicazione online dello Stigler Center della University of Chicago.

L’annuncio del lancio di Domani è arrivato in diretta televisiva lo scorso 28 maggio, con un intervento di De Benedetti a Piazza Pulita, su La7.


Una scelta che mi ha ricordato il lancio di una testata olandese, De Correspondent, quando, nel 2013, il futuro direttore Rob Wijnberg scelse un popolare talk show per cercare di convincere i telespettatori ad abbonarsi a un giornale che ancora non esisteva.

La promessa di Wijnberg era quella di una testata che restasse al di fuori del ciclo quotidiano delle breaking news, e che si focalizzasse sul contesto e sul rapporto con la sua community. Fu un successo: De Correspondent ottenne 15.000 abbonati in una settimana, raccogliendo 1,3 milioni di euro.

Tra i valori fondativi di De Correspondent c’era anche quello di trasformare i lettori da readers a participants nella costruzione del giornale.

A quanto sembra, anche Domani si pone un obiettivo simile, coinvolgendo abbonati e donatori nella proposta dei temi di inchiesta che verranno affrontati dalla redazione. Quattro saranno le tematiche fondanti per il primo anno: ambiente, salute, lavoro e disuguaglianze.

Come dicevo, il giornale vero e proprio lancerà dopo l’estate. Nel frattempo, però, Feltri ha avviato una newsletter chiamata Oggi e domani, con l’obiettivo di costruire un primo ponte con l’audience del giornale.

È una buona idea: le newsletter sono un’ottima ‘esca’, uno strumento agile e potente per cominciare a definire una community e testare il polso, in un canale intimo e dialogico, dei potenziali early adopter di un prodotto.

È già possibile abbonarsi a Domani: tramite Substack – la piattaforma scelta per l’invio della newsletter – e, da qualche giorno, anche tramite bonifico bancario.

Oltre all’abbonamento standard (mensile o annuale), Domani ha deciso di aprire le sue porte agli “abbonati donatori”, i quali possono versare una cifra a piacere – l’importo suggerito è di 250 euro – con l’impegno, da parte del giornale, di re-investire una cifra uguale a quella versata dall’abbonato per finanziare le inchieste scelte dalla community.

Tra poche ore i primi abbonati – sono già alcune centinaia – incontreranno Feltri su Zoom per proporre e discutere i primi temi di inchiesta; la redazione poi analizzerà “gli spunti raccolti dai lettori e i progetti avanzati dai giornalisti” e “in un secondo giro di eventi, chiederà agli abbonati di scegliere quali finanziare per primi”.

{Il processo sembra simile a quello messo a punto in Germania da Merkurist. Qui però le votazioni dei lettori avvengono online, direttamente sulla piattaforma}.

Il giornalismo partecipativo pone alle redazioni una sfida costante, ‘costringendole’ a garantire equità e trasparenza nei confronti del lettore. Un esercizio che non può essere solo di facciata – gli abbonati se ne accorgerebbero – e che non ha limiti temporali: come sai, ottenere la fiducia di una audience è difficile; riuscire a mantenerla nel tempo lo è ancora di più.

Quella della costruzione di fiducia è una sfida tanto editoriale quanto tecnologica. Per garantire trasparenza nei processi di selezione, votazione e rendicontazione serve infatti un prodotto tecnologicamente all’altezza.

Senza contare le complessità legate allo sviluppo di aree personali, meccanismi di votazione, trigger di engagement, gestione degli abbonamenti: i modelli membership-based possono avere un costo di startup elevato.

Sullo stesso tema, tra l’altro, il Membership Puzzle Project ha pubblicato questa settimana un report molto interessante.

Nel suo intervento a Piazza Pulita, De Benedetti aveva descritto Domani come “il primo giornale che nasce digitale con la carta, e non cartaceo con il digitale”—una frase che non rivela granché dell’approccio strategico e tecnologico della testata.

Così ho deciso di chiedere direttamente a chi sta lavorando alla nascita del giornale: il direttore Stefano Feltri, che ha risposto via email a qualche domanda per la community di Ellissi.

VB: In ottica di definizione del brand di Domani, come definiresti il “problema di mercato” che il giornale vuole risolvere e la “soluzione” che propone?

SF: Domani è un giornale che nasce dopo la pandemia e dopo alcuni sviluppi nel panorama editoriale italiano. I giornali nuovi cercano sempre di rispondere a un bisogno insoddisfatto, di offrire una informazione che manca. Nel nostro caso vogliamo rispondere a due tipi di bisogni. Il primo è quello di un giornalismo più serio, più radicato nei numeri e meno nel retroscena, che si concentri sulla politica e non sulla rissa politica, che offra inchieste e analisi indipendenti, dettate dal potenziale interesse per il lettore e non da logiche di tifo o di interessi occulti dell’editore.

Il secondo bisogno al quale vogliamo rispondere è quello di un giornalismo che abbia valori chiari e priorità comuni a quelle di gran parte dei lettori: l’ambiente, il lavoro, la salute, le disuguaglianze, un desiderio di progresso che sia anche culturale e civile, non misurato soltanto del reddito disponibile. Fenomeni effimeri come le piazze delle Sardine o molto più consolidati come quello del “popolo dei festival” dimostrano che c’è fame di cultura, di impegno civile, di politica. In un altro secolo e in un altro contesto qualcuno avrebbe anche potuto dire che c’è voglia di sinistra, ma di una sinistra diversa e meno polverosa e meno cinica di quelle che abbiamo sperimentato in questi anni.

Chi sarà l’audience di Domani? Potresti fornirmi un identikit di lettrici e i lettori del giornale che verrà?

Puntiamo esattamente a lettrici e lettori, in questo ordine: i giornali sono fatti da uomini e per uomini, le redazioni sono a dominanza maschile. E questo, tra le tante conseguenze negative, è che il racconto della realtà segue schemi tipicamente maschili: tutto diventa una partita di calcio, dove i protagonisti sono in pressing, in dribbling, segnano gol a porta vuota o si chiudono in difesa, mentre intorno dagli spalti il pubblico invoca la morte dell’arbitro e malattie incurabili per gli avversari. Noi vogliamo fare qualcosa di diverso e ho assunto quante più donne ho potuto, anche tra le firme del giornale stiamo partendo dalle donne.

Non per un omaggio al politicamente corretto, ma perché siamo convinti che ci sia bisogno di cambiare le persone per cambiare l’informazione. Al di là del genere, puntiamo ovviamente in prima battuta ai lettori di giornali che ancora vanno in edicola e si abbonano: Domani non sarà un “secondo giornale”, sarà un giornale necessario.

Chi oggi legge il Fatto, Repubblica, il Corriere, La Stampa o altri deve sapere che se non compra Domani si perde un pezzo importante di vita pubblica. La vera sfida però è conquistare o riconquistare chi i giornali ha smesso di comprarli o non li ha mai comprati. Tutti ci provano, noi confidiamo di riuscirci. Per la scelta delle priorità, delle firme, dei modi di comunicare.

Vogliamo raccontare i ventenni, ma soprattutto vogliamo che loro si raccontino attraverso Domani. E vogliamo parlare dell’élite italiana, ma soprattutto a quella che ha fatto carriera all’estero, rimane legata all’Italia ma non trova un ponte per essere parte della discussione collettiva sul Paese. Noi glielo offriremo.

Un passaggio sul modello di business di domani. State sviluppando un modello ibrido che unirà abbonamenti e inserzioni pubblicitarie? E nel caso, per gli abbonati il sito sarà advertising-free?

Il modello di business tiene conto della filosofia editoriale: siamo un giornale web che ha anche una edizione cartacea. Le notizie e le analisi escono dove sono di maggiore interesse per il lettore e quando sono più necessarie. Il sito avrà una parte free per raccontare la giornata, per diffondere idee o per presentare la sintesi dei nostri contenuti per abbonati.

La sezione riservata agli abbonati sarà il cuore del nostro progetto e alimenterà il giornale di carta. La pubblicità ci sosterrà dove è possibile, ma non sarà mai invasiva e non dovrà compromettere l’esperienza di lettura. Avremo anche newsletter, alcune con i contenuti del giornale, altre più specialistiche e anche quelle possono essere un supporto pubblicitario interessante grazie alla maggiore profilazione che consentono.

Nel tuo ruolo di direttore, ti occuperai direttamente della supervisione delle strategie di sviluppo digitale della testata, oppure ci sarà un team dedicato?

Per il momento partiamo con una struttura leggera per contenere i costi. Delle strategie e dei progetti di sviluppo ci occuperemo io e Stefano Orsi, il nostro direttore generale, che ha una grande esperienza manageriale in una grande società come Armani. Abbiamo poi affidato a un giornalista, Daniele Erler, il compito di sviluppare nuove idee e modelli di business. Oltre all’esperienza anche editoriale del presidente della società, Luigi Zanda, possiamo poi contare sull’energia e le intuizioni di Carlo De Benedetti che, a 85 anni, affronta questa avventura con l’approccio e l’energia di uno startupper. Fin dall’inizio De Benedetti ha avuto chiarissimo che il destino di Domani si compirà sul digitale, con la carta come prodotto prestigioso ma collaterale.

Ultima domanda, più legata alla tua esperienza: c’è qualcosa dell’approccio giornalistico americano che pensi possa essere utile “importare” nel giornalismo italiano?

I giornali americani non sono perfetti, anche se per provincialismo in Italia tendiamo a sopravvalutarli. Però quelli migliori – dal New York Times a Vox ad Axios – hanno molto da insegnarci. Penso soprattutto alla capacità di usare i numeri, con le infografiche che sono contenuti informativi e non decorativi. Ma abbiamo molto da imparare anche sulla chiarezza espositiva e l’uniformità stilistica che rendono i giornali più fruibili dei nostri ancora scritti in un “giornalese” sempre più lontano dal linguaggio comune. L’altra cosa che cercheremo di importare su Domani è la capacità di raccontare con competenza e di indagare a fondo anche altri pezzi della società diversi dalla politica, alla quale comunque dedicheremo una grande attenzione.

Come tutti i prodotti editoriali ibridi, dunque, anche Domani giocherà la sua partita su due fronti: il business dell’attenzione (la pubblicità, con la sfida di garantire brand safety in un progetto che promette di dare largo spazio al giornalismo di inchiesta) e il business delle relazioni (subscription). Sono curioso di vedere se, partendo da zero, riuscirà a trovare un equilibrio tra gli interessi dei brand e quelli degli abbonati.

La decisione di coinvolgere i lettori dall’inizio, prima del lancio vero e proprio, è lodevole: per certi versi mi ricorda la strategia di lancio del Fatto Quotidiano.

Nel 2009, anche cavalcando la crescente popolarità di Marco Travaglio, il Fatto riuscì – attraverso un tour di presentazioni e incontri pubblici – a incassare la fiducia di quasi 30.000 abbonati ancor prima di lanciare.

Ma era l’apice scandalistico del Berlusconismo, altri tempi. Oggi il nemico è, forse, meno definito. Vedremo se il giornale di De Benedetti e Feltri andrà a intercettare soltanto la platea degli ‘scontenti di Repubblica’, oppure, come penso, attirerà cluster di lettorato più ampi ed eterogenei.

Nell’autunno del 2019, celebrando il decennale dal lancio del Fatto Quotidiano, il direttore-fondatore Antonio Padellaro ricordò così i momenti della fondazione della testata:

“Feci (facemmo) una succinta lista delle cose che avrebbero reso il “nostro” giornale diverso. Cercare di non essere noiosi. Cercare di non essere scontati. Cercare le notizie che gli altri non hanno (o non pubblicano)”.

E poi aggiunse:

“Santa ingenuità: non erano forse i solenni principi che ogni testata s’impegna a perseguire nell’editoriale del primo giorno? Spesso disattesi il giorno dopo? Poi arriva il momento di mettere nero su bianco”.

Quando Domani inizierà a mettere le sue idee ‘nero su bianco’, vedremo veramente quali sono le carte nel suo mazzo.

Nell’attesa, l’importante è continuare a porsi le domande giuste. Fin qui, mi sembra che ci siamo. 

Alla prossima Ellissi
Valerio

Ciao, mi presento. Mi chiamo Valerio Bassan e lavoro come consulente di strategia digitale nel mondo dei media e del giornalismo, per clienti italiani e internazionali. Questo post è tratto da Ellissi, la mia newsletter settimanale. Iscriviti qui.

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