Sovrastrutture

di | 10 Aprile 2020

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A te, perché stai leggendo questa newsletter.

E a YouTube, per avermi proposto, un annetto fa, un video dal titolo irresistibile: The Greatest Shot In Television, la migliore ripresa nella storia della televisione.

Grazie, perché è quel video ad avermi fatto scoprire James Burke:

Nato nel 1936, storico della scienza e leggendario divulgatore per la BBC, questo Piero Angela nordirlandese è diventato per me una sorta di ossessione. 

Nel video di cui ti parlavo, Burke cammina a passo spedito in un prato, tenendo nella mano destra un thermos di metallo, mentre spiega come funziona la combustione di due gas, idrogeno e ossigeno.

Stacco di camera. Burke smette di camminare e, guardando fisso nell’obiettivo, dice: 

“Se rilasci due gas in uno spazio chiuso con un buco su un lato, lasci che si mescolino e poi gli dai fuoco, ecco cosa ottieni” 

e girandosi, indica con il braccio un punto a un chilometro di distanza in cui, in quell’attimo esatto, uno shuttle si stacca da terra per dirigersi verso l’orbita terrestre, generando un’immensa fiammata che ricopre l’intera collina.

Una sequenza cinematografica perfetta e, letteralmente, irripetibile. Nonostante Burke sia di spalle, possiamo immaginarlo sorridere al pensiero di averla portata a casa:

Ma c’è un’altra videosequenza di Burke che non riesco a smettere di guardare.

Viene tramessa nel 1985 all’interno di The day the universe changed, serie in cui il conduttore racconta l’impatto di alcune scoperte scientifiche o tecnologiche sulla nostra conoscenza e sulla nostra percezione della realtà—dal telescopio di Galileo alla mela di Newton.

Nell’ultima scena dell’ultima puntata, seduto su una roccia alle pendici dell’Himalaya, Burke mostra allo spettatore un microchip, poggiato sul polpastrello del suo dito indice.

E, in poco più di un minuto, prevede l’impatto che internet e il web avranno sulla società e la politica trent’anni dopo:

“Saremo in grado di tenere il conto di milioni di opinioni, che verranno diffuse elettronicamente. Di dare a tutti accesso diretto e libero alla conoscenza, lasciando sbrigare al computer le faccende giornaliere. Uniremo le persone in una comunità elettronica in cui l’Himalaya e Manhattan disteranno solo una frazione di secondo. Un mondo che noi descriveremmo come ‘anarchia bilanciata’ e che loro [gli umani del futuro] descriveranno come una società aperta”.

Burke non era nuovo a previsioni di questo tipo. 

Già nel 1973, intervistato da Radio Times, la guida tv della BBC, aveva fatto una serie di previsioni sull’avanzamento tecnologico nel mondo del futuro.

A quel tempo, Burke aveva predetto la diffusione dei computer nelle case e nelle scuole, la raccolta massiccia dei dati degli utenti, le conseguenti problematiche per la privacy, persino la fecondazione in vitro.

{Per alcuni, Burke avrebbe persino previsto l’attacco terroristico alle Torri Gemelle.}

Qualcuno lo ha definito “profeta”. Parola che a lui, che nello studio scientifico ha radicato il suo pensiero, non è mai piaciuta.

Sono tornato a pensare a tutto questo poco tempo fa, quando in rete ha ripreso a circolare un video del 2015 in cui Bill Gates prevede con disarmante accuratezza la diffusione del coronavirus. Se non l’hai già visto, qui c’è il link

Nel suo discorso, Gates avverte che la prossima catastrofe globale sarà causata “non da missili, ma da microbi” e che, senza un piano di emergenza adeguato e investimenti nella sanità, si rischia un’epidemia “drammaticamente più devastante dell’ebola”.

Come ha scritto qualcuno in un commento, siamo di fronte a «uno dei più grossi ‘te l’avevo detto’ nella storia dell’umanità».

Il curriculum certo non gli manca:

Ma Bill Gates, come Burke, non è un profeta: in questa veste, è un divulgatore. Ha studiato a fondo i temi di cui parla, mappando la diffusione dell’ebola in Africa Occidentale nel 2014 e le conseguenti difficoltà sanitarie nel trattare i pazienti e contenere il virus.

Ha unito i puntini. Capendo che una pandemia futura sarebbe stata estremamente difficile da arginare.

Però no, ecco, la sua non è una profezia. È una solida, seppur semplice, analisi scientifica. Che, partendo dall’osservazione del passato, disegna uno schema plausibile per il futuro.

È lo stesso ‘metodo’ di James Burke: guardarsi indietro per guardare avanti. 

Lo diceva già nel ’75: “Come mai dovremmo guardare al passato per prepararci al futuro? Be’, perché non possiamo guardare da nessun’altra parte”.

Il progresso scientifico, così come l’anticipazione del futuro, non è quasi mai frutto di un’esperienza mistica o di una rivelazione geniale.

Ogni singola invenzione o scoperta, piccola o grande, espande la nostra conoscenza delle cose, mettendo in discussione quella che, fino al giorno prima, consideravamo essere una verità assoluta e inattaccabile.

Come Burke spiega nel finale di The Day The Universe Changed, la storia ha sempre messo alla gogna chi sosteneva una visione diversa da quella condivisa: eretici, streghe, ciarlatani.

Succede ancora oggi. Succede perché ogni epoca si porta dietro le sue verità condivise, le sue sovrastrutture ideologiche. Ogni epoca ha le sue streghe. Quando un medico identifica un tipo di virus fino a quel momento sconosciuto e mette in guardia la popolazione, viene silenziato

Nel 1912 il meteorologo tedesco Alfred Wegener, analizzando la conformazione delle coste di Africa, Europa ed America e le similitudini tra la fauna di luoghi apparentemente così distanti, teorizzò per primo la Pangea e la deriva dei continenti.

I paleontologi dell’epoca screditarono tuttavia la sua tesi, che metteva in discussione convinzioni scientifiche salde da decenni, cercando invece di dimostrare perché le idee del ricercatore tedesco fossero errate.

Fu solo negli anni ’50, grazie all’avanzamento degli studi sul paleomagnetismo, che la scoperta di Wegener fu confermata e la sua figura definitivamente riabilitata.

Come ci ha insegnato Burke, ogni ricerca scientifica parte con una tesi da dimostrare. Quello che emerge lungo la strada, però, è imprevedibile. 

Quando scopriamo un tassello che non ha un incastro naturale nel nostro “ordine delle cose”, siamo portati a forzarlo affinché rientri nello schema della realtà per come la conosciamo. 

È molto più semplice adattare il singolo pezzo al puzzle, piuttosto che l’intero puzzle al singolo pezzo.

Solo chi è in grado di mettere in discussione quella sovrastruttura, riesce a scoprire o inventare qualcosa di grande (al punto tale da essere considerato, talvolta, alla stregua di un profeta).

Ti chiedo: sei consapevole della sovrastruttura che plasma la tua visione del mondo? Hai già pensato a come superarla? 

 

Alla prossima Ellissi
Valerio

PS. Intanto, se vuoi un assaggio di come vivremo nel 2100, sappi che qualche anno fa la BBC ha intervistato di nuovo James Burke. Puoi riascoltarlo qui. Poi non dire che nessuno te l’aveva detto.

Ciao, mi presento. Mi chiamo Valerio Bassan e lavoro come consulente di strategia digitale nel mondo dei media e del giornalismo, per clienti italiani e internazionali. Questo post è tratto da Ellissi, la mia newsletter settimanale. Iscriviti qui.

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