La blackberrizzazione dei social network

di | 07 Gennaio 2022

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Era il 1908 quando per la prima volta qualcuno teorizzò il potere dei network effect.

Quel qualcuno era Theodore Vail, l’allora presidente della telco americana AT&T.

Nel suo report annuale agli azionisti, Vail scrisse:

“Un telefono privo di una connessione […] è uno degli oggetti più inutili al mondo. Il suo valore dipende dalla connessione con un altro telefono, e aumenta in base al numero di connessioni della rete.”

A rileggerle oggi, le parole di Vail sembrano un commento attualissimo alla morte del Blackberry — l’ex ‘telefono dei manager’ che in questi giorni è diventato ufficialmente materiale da museo.

Vail aveva capito che il valore non stava nell’oggetto – il telefono, appunto – ma nell’ampiezza della rete attraverso cui viaggiavano le comunicazioni.

E che il valore del servizio di AT&T cresceva con l’aumentare del numero degli utenti che lo utilizzavano.

Davanti a numerose opzioni, le famiglie americane avrebbero scelto l’azienda che gli avrebbe permesso di raggiungere quanti più amici, parenti e servizi possibile.

E perché avrebbero dovuto ascoltare le offerte di un competitor? L’ampiezza del network era un meccanismo di lock-in troppo potente per guardarsi altrove. E per AT&T era un immenso vantaggio competitivo.

Quella di Vail fu un’intuizione geniale, tanto da diventare uno degli assiomi fondanti del digitale.

Se ci pensi, negli ultimi anni ogni software è diventato collaborativo, dai fogli di calcolo ai videogiochi.

Per non parlare delle piattaforme social che sono state, forse, l’incarnazione massima della potenza dell’effetto network.

Per anni il valore di un social si misurava principalmente in base al numero dei suoi iscritti, e questo valore aumentava ogni volta che qualche nostro amico si iscriveva.

Fino a qualche anno fa, per capirci, Facebook definiva “attivo” un utente quando stringeva almeno 8 amicizie nel corso del primo mese.

Cosa è cambiato?

Rispetto al 1908, le cose sono un po’ più complicate.

L’ampiezza della rete non è più sufficiente a garantire il successo di una piattaforma.

Facebook ne è un esempio lampante. Il fatto che io abbia 2300 ‘amici’ sulla piattaforma non è più un motivo valido e sufficiente per aprire l’app.

Non conta più solo il numero delle connessioni a nostra disposizione, infatti, ma anche altri fattori.

Quattro, in particolare: la longevità, l’affidabilità, la reciprocità e la stratificazione.

Longevità. L’azione di stabilire una nuova connessione social – per esempio quando seguiamo un account di un amico, un influencer, o un brand – è il punto di partenza, non quello di arrivo: è solo il primo step della relazione. La fidelizzazione avviene solo se la ‘promessa’ iniziale viene mantenuta nel tempo.

Affidabilità. Abbiamo più che mai bisogno di poterci fidare delle connessioni digitali che stringiamo. Le regole del gioco social devono essere chiare, trasparenti, non inquinate — e soprattutto devono rispettate da tutte gli attori coinvolti, inclusa la piattaforma stessa.

Reciprocità. Tutte le persone coinvolte nella connessione devono trarre un qualche beneficio dalla connessione. È la regola aurea dei marketplace, sia quelli che vendono attenzione e contenuti (Substack, o una testata giornalistica), sia quelli vendano prodotti o servizi (Airbnb o Shopify): la capacità di far incontrare domanda e offerta vale più di tutto.

Stratificazione. Con l’aumento della competizione (Instagram versus TikTok) i meccanismi di lock-in diventano sempre più fragili, e i network, anche quelli più established, hanno meno armi per difendere la loro posizione dominante. Basti vedere cosa è successo alle cable companies negli ultimi vent’anni. Oggi i network che funzionano sono quelli che ci permettono di formare sotto-reti solide, incentrate su interessi o bisogni comuni – come avviene su Slack o su Discord – stratificando le nostre relazioni su più livelli, possibilmente intrecciati tra loro.

L’effetto relazione

Per sopravvivere, le piattaforme social devono prima di tutto comprendere che non ci sono più gli ‘AT&T’ di un tempo.

Più che ai network effect, questi titani dovrebbero considerare i relationship effect che sono in grado di offrire ai propri utenti.

Lo sa bene il CEO di Instagram, Adam Mosseri, che qualche giorno fa ha lanciato l’allarme: “Dovremmo ripensare che cosa è Instagram, perché il mondo cambia rapidamente e noi dovremmo cambiare con esso”.

Per mantenere un forte effetto relazione, i social devono continuare a puntare forte sui creator, i veri game changer in grado di garantire longevità, affidabilità, reciprocità e stratificazione.

Senza la credibilità, i contenuti e le reti dei creator, le piattaforme rischiano di trasformarsi in Blackberry: belli, nostalgici, inutili relitti del passato.

“Una delle cose più importanti che possiamo fare è aiutarli a guadagnare sulla nostra piattaforma”, ha detto infatti Mosseri.

Per questo i social stanno moltiplicando gli strumenti di monetizzazione, e per questo tutti – da TikTok a Snapchat, da YouTube e Facebook – hanno lanciato i propri creator fund, finanziamenti per incentivare l’utilizzo della piattaforma.

Ma non è sufficiente.

Se da un lato bisogna garantire il valore giusto a chi crea (e a chi investe, ovvio), è altrettanto necessario fornire un valore adeguato anche al grande pubblico, principale seller di attenzione e di relazione.

Altrimenti, il rischio è che queste piattaforme si riducano a essere dei marketplace di creator.

La sensazione diffusa è che la filiera dei social non abbia più tutti gli ingranaggi al suo posto. È necessario tornare a costruire community che siano degli asset, in primo luogo per le persone che ne fanno parte.

Forse non è troppo tardi perché queste piattaforme capiscano che sono solo un cumulo di apparecchi inutili se non sono in grado di formare connessioni – anzi, relazioni – di valore.

Vediamo come andrà questo 2022.

Alla prossima Ellissi
Valerio

Ciao, mi presento. Mi chiamo Valerio Bassan e lavoro come consulente di strategia digitale nel mondo dei media e del giornalismo, per clienti italiani e internazionali. Questo post è tratto da Ellissi, la mia newsletter settimanale. Iscriviti qui.

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