La frontiera in affitto

di | 19 Novembre 2021

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La terza puntata della nuova stagione di Narcos include anche una breve lezione di economia.

Parlo del momento in cui i tre capi del piccolo cartello di Sinaloa incontrano i potenti boss di Tijuana, la cui organizzazione controlla gran parte del mercato nazionale.

I tre sinaloani, guidati dal Chapo, hanno una richiesta precisa: vogliono acquistare dai rivali un pezzo di confine tra Messico e Stati Uniti, quello della Valle Imperial.

È una richiesta sensata.

Per un narcotrafficante, infatti, possedere una frontiera significa controllare l’intera filiera del business, dalla produzione alla consegna.

Si guadagna molto di più e senza fastidiosi intermediari.

Per i capi di Tijuana, inoltre, la linea della Valle Imperial è poco più di un deserto inospitale. Giace inutilizzata, uno scarto rispetto ad altre frontiere ben più redditizie.

Eppure, di venderla non hanno nessuna voglia.

“Se volete la frontiera, potete affittarla. Per due anni. E poi rinegozieremo”.

I capi di Sinaloa, come puoi immaginare, non sono entusiasti della controproposta. E decidono di negoziare a modo loro (ma niente spoiler).

Questa storia ci insegna che c’è una cosa su cui nemmeno i cartelli della droga possono cedere, perché è troppo importante: il controllo e l’accesso alle risorse finite.

Nel mercato del narcotraffico, i confini rappresentano un elemento di scarcity ‘naturale’ — in grado di cambiare gli equilibri del potere.

Nel digitale, invece, la scarcity è quasi sempre artificiale.

Dagli anni cinquanta in poi i mass media ci avevano progressivamente disabituati al concetto di finitezza.

Con la radio prima, la televisione poi, e infine internet, tutto è diventato sempre disponibile e accessibile ovunque, in contemporanea, senza limiti.

Così, l’industria culturale ha vissuto un passaggio da un concetto di ownership a un concetto di usership — l’idea che possiamo fruire di un prodotto anche senza possederlo.

Ora però, in un certo senso, stiamo tornando indietro. Le nuove economie del digitale si basano sempre di più su una nuova finitezza.

Non delle risorse in sé, ma dell’accesso alle stesse.

“Everything is becoming paywalled content, even you”, titolava Wired qualche mese fa.

Per accedere ai contenuti che ci piacciono oggi dobbiamo ‘pagare dazio’ a tanti attori diversi: piattaforme, giornali, erogatori di servizi.

Pensa alle piattaforme SVOD. L’economia del mercato dello streaming gira proprio intorno alla scarcity di accesso. Se vuoi vedere, devi pagare.

Non a caso, Squid Game (costata 21 milioni di dollari) ha generato finora 900 milioni di dollari di ricavi per Netflix in impact value, un mix tra nuovi abbonati e mantenimento della customer base esistente.

Ma c’è un limite a tutto…

Specialmente alle risorse che possiamo investire negli abbonamenti digitali.

Secondo un recente studio, le famiglie americane pagano in media 9 abbonamenti diversi tra video, musica e videogiochi.

A un certo punto, con un’offerta così ricca e frammentata, un certo grado di subscription fatigue diventa inevitabile.

È normale, no? Se all’aumento dell’offerta di contenuti non corrisponde una crescita del nostro potere di spesa, sarà inevitabile arrivare a un punto di rottura.

Così sviluppiamo strategie antidotiche: per esempio, condividiamo i costi di alcuni abbonamenti con la famiglia o gli amici.

Creiamo dei pacchetti ‘fatti in casa’ — tu paghi questo, io pago quello, tutti vediamo tutto. Bundlizzazione ‘naturale’ come risposta alla scarcity ‘artificiale’.

Ci sono anche dei servizi – come ShareSub, Spliiit e TogetherPrice – che ci permettono di condividere i costi di abbonamento con persone che non conosciamo.

E come molto spesso accade, anche in questo caso il comportamento dei consumatori anticipa il mercato.

Per questo scelte come quella di DAZN (dimezzare il numero di stream contemporanei dal singolo account), imputate alla necessità di porre un argine alla pirateria, dimostrano al contempo una certa cecità verso i bisogni reali di molti utenti.

{Si vocifera anche che l’abbonamento premium di Netflix, che permette 4 accessi contemporanei per 17,99 euro al mese, potrebbe non durare a lungo.}

Una nuova consapevolezza

La levata di scudi generale verso DAZN ci ha ricordato di quanti siano, anche in Italia, i concurrent users, ovvero gli utenti che accedono in contemporanea (e legalmente!) a certi servizi utilizzando lo stesso account.

E ci racconta un’altra cosa: come anche il nuovo paradigma, quello della usership, mantenga al suo interno alcune caratteristiche del ‘vecchio’ modello, quello della ownership.

Per come la vedo io, il numero di utenze contemporanee potrebbe diventare una delle nuove frontiere della sfida commerciale tra le piattaforme.

Così come altri fattori: la qualità dello streaming, la piacevolezza dell’interfaccia, l’efficacia degli algoritmi di scoperta.

In un mercato sempre più saturato, i margini si riducono.

Concedere un po’ di porosità, lasciando la possibilità di condividere il costo d’affitto della frontiera, potrebbe essere una buona idea (per esempio, aiuterebbe a ridurre il rischio di churn).

Perché sebbene il contenuto sia ancora il re – come testimonia il successo di Squid Game – il servizio al cliente sta diventando, sempre più, la regina.

Alla prossima Ellissi
Valerio

Ciao, mi presento. Mi chiamo Valerio Bassan e lavoro come consulente di strategia digitale nel mondo dei media e del giornalismo, per clienti italiani e internazionali. Questo post è tratto da Ellissi, la mia newsletter settimanale. Iscriviti qui.

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