Pollo fritto

di | 15 Maggio 2020

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Oggi ti parlo di pollo fritto, celebrity e passaparola. Ma sto bene, giuro.

Il 3 marzo 2014 la conduttrice tv americana Ellen DeGeneres pubblica su Twitter un selfie scattato dall’attore Bradley Cooper durante la cerimonia degli Oscar. Quasi sicuramente l’avrai già visto, ma se vuoi rinfrescarti la memoria, eccolo qui

Con loro nell’inquadratura c’è una specie di Madame Tussauds di celebrity hollywoodiane: Brad Pitt, Angelina Jolie, Meryl Streep, Julia Roberts, Kevin Spacey, Jennifer Lawrence… you name it.

Manco a dirlo, passano poche ore e il tweet di Ellen diventa il più retwittato di sempre. 

Tre anni dopo, però, la conduttrice dovrà passare di mano il suo scettro… a un adolescente sconosciuto. 

È il 6 aprile 2017 quando Carter Wilkerson, diciassettenne del Nevada, contatta su Twitter Wendy’s, nota catena americana di fast food, per chiedere un’informazione fondamentale:

«Ehi @Wendys quanti retweet per un anno di pollo fritto gratis?»
«18 milioni»
«Consideratelo fatto»

Diciotto milioni di retweet! Povero Carter, l’impresa è disperata.

Ma Wilkerson non demorde, screenshotta il tweet e chiede aiuto ai suoi (risicatissimi) follower. Inaspettatamente, condivisione dopo condivisione, il tweet fa il giro della piattaforma—arrivando a toccare quota 3.3 milioni. Abbastanza per superare lo strapotere di Hollywood ed entrare nella storia di Twitter.

Pur non avendo centrato l’obiettivo finale, Wilkerson – da quel giorno, per tutti, nugget boy – ottiene la sua ricompensa: Wendy’s gli paga un anno di pollo gratis, Ellen lo invita in trasmissione, Katy Perry lo fa apparire nel video musicale di Swish Swish.

A guadagnarci più di tutti è ovviamente la catena di fast food: da Forbes al New York Times, il brand di Wendy’s fa il giro della rete. Gratis.

Una pubblicità globale, martellante, nata dal basso e legata a una “bella storia”—il tutto al costo di un hamburger o poco più.

Il motivo per cui ti ho raccontato questa vicenda è questo: puoi anche avere un talk show in prima serata, delle statuette dorate in una teca, e i paparazzi fuori casa, ma a volte l’effetto-valanga di tante micro-amplificazioni può essere in grado di ribaltare le gerarchie, in qualsiasi momento.

È questo uno degli aspetti su cui si è sempre basato uno degli strumenti di marketing più vecchi, conosciuti ed efficaci della storia, nonché argomento della Ellissi di oggi: il passaparola.

Il passaparola, a un primo impatto, potrebbe sembrare una strategia d’altri tempi. Eppure Twitter – e in generale, internet – non l’hanno reso vetusto. Al contrario, lo hanno fatto diventare ancora più potente.

Jeff Bezos sottolineò l’effetto moltiplicatore del web: “Una volta, un cliente felice parlava del tuo prodotto a 5 amici. Ora, grazie al megafono di internet, attraverso le recensioni online o i social media, il suo consiglio ne raggiunge 5000”.

Del resto, le ricerche dimostrano che il passaparola sia un fattore cruciale nella decisione di acquisto, e che il 92% degli utenti si fidi più del suggerimento da una fonte fidata che della pubblicità.

Tra le cose che mi piacciono del passaparola è che non fa distinzioni di industria o prodotto – funziona per ciucci e pannolini come per i libri russi dell’ottocento – né di dimensioni dell’azienda: vale tanto per Tesla, che non ha mai speso un dollaro in pubblicità, quanto per il salumiere sotto casa.

Anche un fail può generare passaparola. 

Il marketing basato sul passaparola, o word-of-mouth marketing (WOMM), segue in genere tre modelli:

 

  • L’organic inter-consumer influence model: è il passaparola “naturale”, in cui un cliente, dopo avere testato personalmente un prodotto o servizio, lo consiglia a uno o più amici; 
  • Il linear marketer influence model: è il passaparola che viene generato e alimentato da alcuni nodi-chiave della rete, come influencer e opinion leader; 
  • Il network coproduction model: è il passaparola eterodiretto dal marketer che, attraverso varie strategie, promuove, incentiva e indirizza la conversazione tra le persone riguardo al prodotto, nella speranza di generare un po’ di buzz.

Di qualsiasi tipo sia il passaparola che stai sviluppando, organico o stimolato artificialmente, c’è un minimo comune denominatore: le persone parlano del tuo prodotto non solo se quel prodotto le fa sentire bene, ma perché l’atto stesso di consigliare quel prodotto a qualcuno le fa sentire bene.

Dare consigli, infatti, appartiene alla nostra natura di esseri umani: dare una raccomandazione utile ci ripaga con un senso intrinseco di soddisfazione e aumenta la nostra social validation, alimentando il legame di reciproca fiducia con amici e conoscenti.

{Se il tema ti intriga, questo libro dovrebbe fare al caso tuo.}

Purtroppo, generare passaparola attorno al tuo prodotto non è sempre facile come mangiare dei nugget.

Questo perché il passaparola può comportare dei rischi per chi lo pratica. In particolare, può generare:

 

  • Un rischio di responsabilità. “Voglio essere responsabile se Andrea mangerà male nel ristorante che gli ho consigliato?”
  • Un rischio di credibilità. “Come verrò giudicato da Anna, se il libro che le ho suggerito di acquistare non le piace? Sembrerò uno sfigato?”

  • Un rischio di competizione. “Se consiglio il mio parrucchiere a Veronica, Marta e Daniela, finirò per fare file più lunghe e pagare prezzi più alti?”

Il passaparola funziona quando è utile (per chi lo riceve), facile (per chi lo fa), e gratificante (per entrambe le parti in causa).

Quando cerchi di generare del passaparola, ricordati di integrare dei meccanismi che incentivino e che rendano meno “rischioso” spargere la voce.

Nel mondo dei media ci sono diversi esempi virtuosi da cui prendere spunto, ma mi limiterò a due.

Il primo riguarda Morning Brewnewsletter quotidiana di informazione che ha da poco raggiunto i due milioni di iscritti—il 30% dei quali attraverso un sofisticato programma di referral basato sui reward: chi sparge la voce ottiene in cambio contenuti esclusivi e merchandise. Il funzionamento di questo meccanismo è spiegato molto bene da uno dei suoi ideatori, qui.

Il secondo riguarda Zetlandpiattaforma danese di slow journalism che è stata in grado di raggiungere il pareggio di bilancio trasformando i suoi abbonati in ambasciatori del prodotto, secondo il principio del “members getting members”. La strategia è raccontata nei dettagli qui.

Quello del passaparola è un meccanismo da coltivare, che funziona meglio quando eleva il nostro status personale, e contemporaneamente crea valore per tutte le parti in causa.

Dopotutto, i brand sono conversazioni. 

 

Alla prossima Ellissi
Valerio

Ciao, mi presento. Mi chiamo Valerio Bassan e lavoro come consulente di strategia digitale nel mondo dei media e del giornalismo, per clienti italiani e internazionali. Questo post è tratto da Ellissi, la mia newsletter settimanale. Iscriviti qui.

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