Il tuo vero pubblico è in CC

di | 13 Novembre 2020

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Ti ricordi la prima geniale pubblicità di PlayStation, nel 1995? 

Fece rumore perché era uno spot al contrario: promuoveva infatti una campagna anti-videogiochi, pagata da una potente corporation (fittizia) denominata “Società contro la PlayStation”, o SAPS. 

Con ironia, lo spot metteva in guardia gli spettatori dai possibili rischi legati all’utilizzo della console di Sony — che “può sembrare un innocuo tostapane, ma all’interno nasconde una letale ciambella” e che rischia di lobotomizzare i più giovani.

Clicca sull’immagine per vedere lo spot.

Se anche tu negli anni novanta ti trovavi in bilico tra infanzia e adolescenza, è probabile che desiderassi ardentemente una PlayStation. 

Ed è altrettanto probabile che questo spot – con la sua vena un po’ trasgressiva – abbia aumentato la tua voglia di possederne una.

Però, e mi spiace deluderti, questo spot non era rivolto a te.

A convincerti, infatti, bastava il passaparola tra i tuoi compagni di classe.

Lo spot serviva invece a spingere all’acquisto un target ben preciso di pubblico: non gli adolescenti, ma i loro genitori.

Perché mai i miei avrebbero dovuto volere una PlayStation?

Perché ogni messaggio, di qualsiasi natura sia, si rivolge contemporaneamente a due audience: una primaria e una secondaria.

L’audience primaria è composta dai decision-maker, i soggetti che sono in grado di prendere una decisione e compiere un’azione — in questo caso i genitori, che detengono il potere decisionale e d’acquisto.

L’audience secondaria è composta invece dalle persone che hanno l’abilità di influenzare l’audience primaria — come i figli, i quali, pur non essendo ancora ‘consumatori diretti’, hanno il potere di spingere i propri genitori all’acquisto mediante (a seconda dell’età) letterine a Babbo Natale, promesse di buona condotta, assillanti insistenze, o puri ricatti morali.

Questo dualismo tra le target audience si applica a tutti i prodotti per bambini e adolescenti. Anche in altri settori di mercato.

Se ti chiedessi chi è l’audience primaria di Internazionale Kids, per esempio, cosa risponderesti?

Il (bellissimo) mensile si presenta come un contenitore di “giochi, articoli e fumetti per lettori dai 7 ai 13 anni”, ma in realtà il suo marketing è rivolto interamente ai genitori — perché nella sua proposta ‘racchiude’ la promessa di un modello educativo che mette al centro il valore della lettura, la conoscenza del mondo, l’apertura mentale.

Non a caso, l’audience primaria di Internazionale Kids è composta da donne e uomini che già acquistano Internazionale e che, condividendo uno specifico set di valori, vogliono trasmetterli anche alla prole.

Dove trovo altri esempi di audience primarie e secondarie?

La risposta è “praticamente ovunque ci sia del contenuto”: dai discorsi politici alle pièce teatrali, dai romanzi alle cartoline postali.

Uno degli esempi che preferisco, però, è quello del “cc” nelle email di lavoro.

Il cc è uno strumento che utilizziamo spesso ben oltre il suo scopo naturale (che sarebbe, semplicemente, quello di inviare una ‘copia di cortesia’ del nostro messaggio per mantenere i colleghi aggiornati).

Il cc è spesso usato come un trigger, più o meno consapevolmente, per un’audience primaria non esplicitata.

Succede ad esempio quando scriviamo “complimenti!” a un collega che ha appena chiuso un contratto importante, ma in realtà il nostro messaggio vuole essere di sprone per il resto del team, che legge in copia.

Oppure quando mettiamo in cc uno stakeholder aziendale dal grande potere decisionale, come una manager, affinché possa influenzare il modo in cui il destinatario dell’email reagirà alla nostra richiesta.

Quello in cc non è mai un pubblico realmente “passivo”. Spesso, invece, è l’audience primaria del messaggio.

Cosa possiamo imparare da questo?

Che ogni atomo comunicazionale non si rivolge mai a un singolo pubblico.

Nel giornalismo e nei media, dove assistiamo a un progressivo unbundling dei contenuti, il menù è sempre meno ‘fisso’ e sempre più ‘à la carte’.

Le nostre audience non sono dei monoliti, tutt’altro: sono fatte da gruppi di persone con interessi, bisogni e preferenze diversi tra loro, che interpretano la realtà in modo eterogeneo e hanno differenti abitudini di fruizione.

Le audience, come ha recentemente osservato Emily Bell, “vedono cose leggermente diverse in momenti leggermente diversi. Sono sempre di più le persone che non condividono un’esperienza collettiva delle notizie. Questo ha conseguenze enormi per il giornalismo”.

Diventa importante, per noi comunicatori, sapere a quali audience ci rivolgiamo e quale priorità dargli: ogni volta che realizziamo un nuovo contenuto ricordiamoci infatti che accanto alla nostra audience primaria (i decision-maker) ci sarà sempre un’audience secondaria (gli influencer dell’audience primaria).

In un mondo così frammentato, dobbiamo avere maggiore consapevolezza di come le audience consumano l’informazione, e chiederci se quello che stiamo scrivendo, o filmando, o dicendo, raggiungerà le persone che effettivamente si propone di raggiungere. Una cosa è certa: l’era dei messaggi one-size-fits-all è alle spalle.

Dunque, ti chiedo: quando comunichi, qual è la tua audience primaria? E la tua audience secondaria? I tuoi messaggi sono abbastanza efficaci per raggiungerle entrambe? 

 

Alla prossima Ellissi
Valerio

PS. Sul tema del conflitto tra ‘audience immaginate’ e ‘audience reali’ nelle redazioni dei giornali, ti consiglio quest’interessante analisi pubblicata nel 2019 dalla Columbia Journalism Review. C’è una frase che mi ha colpito molto: “Quando ho chiesto ai giornalisti per quali lettori stessero scrivendo l’articolo, rispondevano sempre la stessa cosa, e cioè che stavano scrivendo principalmente per i loro capi”.

Ciao, mi presento. Mi chiamo Valerio Bassan e lavoro come consulente di strategia digitale nel mondo dei media e del giornalismo, per clienti italiani e internazionali. Questo post è tratto da Ellissi, la mia newsletter settimanale. Iscriviti qui.

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