L’Empathy gap

di | 17 Aprile 2020

👋

Ciao, stai leggendo Ellissi,
la newsletter settimanale
di Valerio Bassan su media
e digitale.

Arriva ogni due venerdì,
è gratis, e puoi riceverla
anche tu
.

🟡 Per iscriverti clicca qui.

Qualche giorno fa, Be Unsocial mi ha chiesto di scrivere qualche riga su come sarà il mondo post-covid, e io ho deciso di parlare del nostro rapporto con internet, tema su cui ultimamente sto ragionando spesso.

Nel mio micro-intervento, pubblicato nell’ebook gratuito Back to the futurescrivo che l’emergenza ci sta facendo imparare una cosa, tra le tante: che internet è un sistema fragile. Che non è una commodity. E che in quanto tale non possiamo darlo per scontato. 

Nel mondo che verrà dopo questo casino dovremmo imparare a prenderci cura della rete. Sarà nostro compito impegnarci per costruire un internet “libero”, “plurale” ed “empatico”.

Poi mi sono chiesto: ok, ma cos’è un internet “empatico”? E come posso applicare questo concetto al mio lavoro quotidiano, nei media e nella comunicazione digitale?

Siccome lì non c’era più spazio, proseguo il ragionamento qui, sperando non ti dispiaccia.

Andrea Cuomo, poeta contemporaneo.

Una rapida precisazione, per cominciare: cos’è l’empatia?

Con empatia intendiamo la capacità di “comprendere e condividere i sentimenti dell’altro”. Non solo i sentimenti, aggiungerei: anche i suoi bisogni, le sue motivazioni.

Nella strategia digitale, empatizzare significa prima di tutto capire che noi non siamo l’utente.

Fa parte della psiche umana pensare che in una data situazione gli altri pensino e si comportino esattamente come faremmo noi.

Ma ogni persona reagisce a informazioni, avvenimenti e interazioni diversamente, a suo modo. In base a come si sente, ai suoi valori, al suo vissuto, a come ha dormito la notte precedente. 

Tu che leggi questa Ellissi potresti trovarla – a seconda del tuo stato d’animo, delle tue conoscenze e di che persona sei – interessante o boriosa, irritante o illuminante, troppo lunga o troppo corta.

Capire che noi non siamo l’utente significa prendere coscienza del fatto che le persone vedono e vivono il mondo diversamente da noi.

Un team composto esclusivamente da uomini 45enni bianchi tenderà a disegnare prodotti digitali per un pubblico di uomini 45enni bianchi. Avere un team eterogeneo è fondamentale per superare questo problema, certo, ma anche avere un approccio empatico può aiutarci.

Considera poi un altro fattore: che le esperienze digitali, su internet, poggiano su fondamenta di scetticismo. 

È una reazione naturale. Abbiamo costruito un internet di trappole: banner pubblicitari invadenti, inbox intasati di spam, cookie che ci perseguitano per giorni. Sembra di essere in un livello di Prince of Persia.

Noi su internet, oggi.

L’utente internet tende a esplorare terreni nuovi in punta di piedi, in attesa che scatti una tagliola da un momento all’altro.

Entrambi questi elementi hanno contribuito a creare un empathy gap, un vuoto di empatia che inficia la nostra capacità di indossare i panni dell’utente, di comprenderne a fondo attitudini e comportamenti.

Il giornalismo online, soprattutto quello che si occupa del ciclo quotidiano delle news, è uno dei campi in cui questo gap è più evidente—e che beneficerebbe maggiormente dall’introduzione di un’etica dell’empatia. Ma di questo, magari, ti parlerò in una newsletter futura.

Diceva lo psicologo americano Abraham Maslow: 

“Se il solo strumento che possiedi è un martello, vedrai in ogni problema un chiodo”.

Niente di più vero. Ogni problema cambia a seconda della prospettiva con cui lo osserviamo.

Mettila così: anche l’empatia è uno strumento.

Uno strumento che, richiedendoci uno sforzo di coinvolgimento emotivo, ci aiuta a comprendere l’altro, offrendoci una visuale diversa e permettendoci così di formare una connessione più intima e solida con i nostri utenti, lettori o clienti. E questo è un valore.

Oggi su internet polarizzazione, clickbait e sensazionalismo sono modelli di business.

Ti chiedo, allora: perché non immaginiamo un modello di business basato sull’empatia? 

 

Alla prossima Ellissi
Valerio

PS. Alcuni di noi sono empatici per natura, altri un po’ meno. Tutti però possiamo imparare ad applicare l’empatia come metodo nelle cose di tutti i giorni, incluso il nostro lavoro. Se il tema ti incuriosisce, ti consiglio di leggere questo libro. 

Ciao, mi presento. Mi chiamo Valerio Bassan e lavoro come consulente di strategia digitale nel mondo dei media e del giornalismo, per clienti italiani e internazionali. Questo post è tratto da Ellissi, la mia newsletter settimanale. Iscriviti qui.

SE VUOI APPROFONDIRE

Il tuo vero pubblico è in CC

Quando comunichi, qual è la tua audience primaria? E la tua audience secondaria? I tuoi messaggi sono abbastanza efficaci per raggiungerle entrambe? 

Di chi è davvero la “tua” community?

Quando un nostro progetto digitale viene ospitato da un servizio terzo, ci esponiamo a un certo grado di platform risk — il pericolo di essere in completa balia della piattaforma, mai veramente in controllo di ciò che succede.

Difetti collaterali

Le lezioni sull’innovazione che possiamo imparare dalla nascita dei post-it.

Bigger = Better?

Quello del “raggiungere chiunque” non è solo un modello utopico, in un ecosistema di audience frammentate: è anche dannoso.