L’Effetto Kayak

di | 29 Maggio 2020

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In città c’è un nuovo ristorante di pesce di cui, da settimane, tutti i tuoi amici ti parlano bene. Così, un giorno decidi di prenotare un tavolo. 

Entri, ti siedi, sfogli il menù. L’occhio cade su un piatto di spaghetti alle vongole. Il cameriere trascrive il tuo ordine, ringrazia e si allontana. 

Un minuto più tardi, eccolo di ritorno, in mano un piatto fumante di spaghetti. “Buon appetito”, ti augura.

Ti chiedi: com’è possibile che il mio ordine sia già pronto? Nella ricetta mancano, o così ti sembra, due ingredienti fondamentali: lo sforzo e il tempo per prepararlo.

Allunghi uno sguardo sospettoso verso le cucine del ristorante, cercando di capire se esistano davvero.

È in quel momento che ti rendi conto che, forse, non dovresti fidarti così tanto dei consigli dei tuoi amici.

Quando acquisti qualcosa, non stai comprando soltanto un prodotto, ma anche il processo che vi sta dietro. Anche se è invisibile agli occhi.

Quante volte, osservando un quadro d’arte contemporanea esposto in un museo, ci capita di pensare, immodestamente: ‘Avrei potuto farlo io!’.

Ma quasi nulla è semplice come sembra.

Quante bozze stracciate ci sono dietro un grande romanzo? Quanti giorni di allenamento dietro un tiro decisivo? Quante startup fallite dietro un’azienda di successo?

Quando vediamo lo sforzo impiegato per realizzare un prodotto o erogare un servizio, la nostra percezione del suo valore aumenta. Lo apprezziamo di più e, di conseguenza, siamo disposti a pagarlo di più.

È per questo che sei più incline a spendere cento euro per acquistare un vaso in vetro soffiato dopo avere osservato un artigiano modellarlo, con maestria, nel suo laboratorio a Murano.

Succede anche il contrario, però: quando un prodotto ci sembra troppo facile da ottenere, il nostro cervello tende inconsciamente a ridimensionarne il valore. Come con il piatto di spaghetti di cui ti parlavo prima.

Nel mondo digitale, alcuni siti cercano di utilizzare questo fenomeno psicologico a proprio vantaggio, implementando la tattica della labor illusion.

L’assunto di base è lo stesso: siamo disposti a pagare di più per un oggetto quando osserviamo lo sforzo profuso nella sua produzione e quindi, se rendiamo visibile l’illusione dello sforzo, possiamo creare un plusvalore attorno al nostro prodotto.

È il caso delle price comparison platforms—le piattaforme online che visitiamo quando vogliamo acquistare un’assicurazione economica per la nostra automobile o trovare un biglietto aereo al prezzo più vantaggioso.

Alcune di queste piattaforme, nelle schermate di caricamento, mostrano i nomi di tutte le compagnie aeree analizzate dal loro software, creando l’illusione di un complesso work in progress.

Il messaggio implicito inviato all’utente è: “Ecco quanto sforzo stiamo impiegando, in questo preciso momento, per soddisfare la tua richiesta”. 

Questo meccanismo di marketing ha preso il nome di effetto Kayak, dal primo sito a implementarlo strategicamente. Per l’appunto, un motore di ricerca dedicato ai viaggi: kayak.com.

L’efficacia di questa strategia è stata confermata nel 2011 da un esperimento condotto da due ricercatori di Harvard: gli utenti che osservano il meccanismo ‘in azione’ sono più soddisfatti del risultato finale e sono disposti a sopportare attese più lunghe.

Strategie simili sono state implementate da alcune app di dating, quando ci avvisano che un algoritmo sta elaborando grandi quantità di dati per trovare il partner perfetto per noi. Anche in questo caso, la visualizzazione esplicita del processo altera la nostra percezione del potenziale match che ci viene proposto dall’app.

La labor illusion può essere utilizzata per ingannare, certo – altrimenti che illusion sarebbe? – ma può anche diventare uno spunto di riflessione utile per valorizzare l’impegno che mettiamo, tutti i giorni, nel nostro lavoro.

Utenti, lettori o clienti valutano il nostro operato in base al prodotto finito: gli sforzi che abbiamo profuso per arrivare al risultato sono spesso invisibili ai loro occhi, e raramente incidono nella valutazione complessiva.

Per questo a volte essere più trasparenti come aziende o individui, svelando (anche parzialmente) meccanismi e processi, contribuisce ad aumentare il valore percepito in quello che facciamo. 

È ciò che viene definita “trasparenza operazionale”.

Se ci pensi, vale anche per i progetti editoriali che utilizzano modelli di membership o subscription: spiegare all’audience quanto è difficile o caro produrre giornalismo di qualità è il primo passo per chiedere un contributo economico.

Ti domando: se portassi un po’ di effetto kayak nel tuo lavoro, si alzerebbe il valore percepito in quello che fai? 

 

Alla prossima Ellissi
Valerio

Ciao, mi presento. Mi chiamo Valerio Bassan e lavoro come consulente di strategia digitale nel mondo dei media e del giornalismo, per clienti italiani e internazionali. Questo post è tratto da Ellissi, la mia newsletter settimanale. Iscriviti qui.

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