Esploratori a motore

di | 30 Settembre 2022

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Da qualche anno i motori di ricerca stanno cambiando pelle: si stanno trasformando in motori di scoperta. O ancora meglio, di esplorazione.

Il loro scopo non è più solo quello di aiutarci a trovare risposte alle nostre domande, quanto piuttosto di allargare i nostri orizzonti, di accompagnarci dove non sappiamo ancora di volere andare.

Le novità annunciate mercoledì notte da Google, durante l’evento annuale Search On, vanno esattamente in questa direzione.

Tra le altre cose, google.com comincerà a popolare le nostre ricerche di un numero sempre maggiore di suggerimenti su contenuti e temi correlati ai nostri interessi. Cercherà di portarci “oltre” (speriamo non troppo fuori strada) quello che crediamo di volere.

Qualcosa di simile avverrà nella barra di ricerca, che diventerà una specie di T9 algoritmico, dove alcune parole chiave ci suggeriranno non solo come completare le ricerche, ma finiranno per indirizzarle e, in qualche caso, dargli forma.

Google – come ha scritto The Verge – sembra avere capito che la ricerca “non è più un processo di domanda-e-risposta, quanto piuttosto un sistema di esplorazione” in cui gli utenti possono “provare a imparare nuove cose per le quali non esistono risposte ovvie”.

Quello che conta non è più la meta – direbbe qualcuno – ma il viaggio. Le “risposte” diventano “percorsi”, le “query” “suggerimenti” e i testi elementi visuali.

Lo cerco su TikTok

Gli ultimi aggiornamenti di Google sembrano mirare alla creazione di un’esperienza di ricerca meno ingessata e più visuale e “giocosa” (continuando con la metafora dell’esplorazione, potremmo definirla avventurosa).

In questo senso le novità introdotte dall’azienda di Mountain View sembrano un modo per contrastare l’ascesa di TikTok — che sta silenziosamente diventando il motore di ricerca preferito dai più giovani.

Secondo una ricerca, infatti, già oggi il 40% dei Gen Z usa TikTok o Instagram al posto di Google per cercare informazioni. TikTok lo sa bene, e proprio per questo sta investendo per migliorare le proprie funzionalità di ricerca interna.

La piattaforma di Bytedance, però, non è veramente un motore di ricerca: non ci aiuta a trovare il CV di un candidato alle elezioni o scoprire la data di un evento storico, né ci consente di prenotare una visita medica o di sapere quanto costa il biglietto dell’autobus a Palermo.

È, tuttavia, un potente motore di scoperta: funziona bene quando cerchiamo informazioni e consigli su ristoranti, viaggi e serie televisive da guardare, per esempio.

Ci può “suggerire” come vestirci e aiutarci a decidere se valga la pena acquistare un prodotto tecnologico, il tutto grazie a creator che possiamo vedere e ascoltare, e di cui finiamo per fidarci.

È un motore di lifestyle search che, a differenza dei risultati di Google – che richiedono uno sforzo cognitivo importante all’utente di screening e analisi – ci propone come risposta un video breve, facile e immediato da fruire. Non sarà magari l’informazione che cerchiamo, ma è sicuramente la più divertente.

Abbracciare il rabbit hole

Il fatto che ogni mattina possiamo svegliarci e affermare senza timore di essere smentiti che “non ci sono mai stati così tanti contenuti online come in questo momento” ha catapultato la scoperta in cima alla piramide delle nostre necessità digitali.

Del resto internet è vasto e profondo, e se non possiamo raggiungere un contenuto è quasi come se non esistesse.

L’importanza della discovery nel plasmare la vita delle persone tocca tantissimi ambiti, non ultimo quello della produzione culturale: recentemente si è discusso, per esempio, del ruolo di Spotify nell’appiattire l’emergere di nuovi artisti musicali.

Se Google ha deciso di prendere spunto dal figlioccio YouTube e di abbracciare il rabbit hole, iniziando a considerarlo non più come un bug ma come una feature del suo sistema, qualcosa vorrà pur dire.

Non conta più solamente condurre la persona nel luogo giusto nel minor tempo possibile, ma attraverso la journey più appetibile — appetibile per lei, certo, ma anche per il modello di business della piattaforma che la accompagna.

Questa journey comincerà sempre più presto. Accetterà sempre meno l’input passivo dell’utente, ma cercherà sempre più di dargli forma, di completarlo e di offrirgli una direzione da seguire.

Se questo approccio potrebbe creare esperienze più immersive e agevolare i nostri percorsi di scoperta, aumenterà ancora di più le responsabilità di Google (e compagnia) verso la collettività.

Perché un conto è cercare di fornire la risposta a una domanda. Un altro è cercare di plasmare la domanda stessa. 

Alla prossima Ellissi
Valerio

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