Il presente e il futuro delle newsletter. Con Dan Oshinsky
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Dan Oshinsky è considerato uno dei maggiori esperti di newsletter del pianeta.
Il suo percorso parla da sé: prima come responsabile delle newsletter di BuzzFeed, e poi del New Yorker, ha lavorato con alcuni tra i più grandi editori americani.
Dal 2019 Oshinky ha fondato il suo studio di consulenza, Inbox Collective, con cui elabora strategie per clienti di piccole e grandi dimensioni.
Ogni mese invia una newsletter-non-newsletter (chiamata, appunto, Not a Newsletter): un Google Doc ricco di consigli, storie e dati sul mondo dell’email e dintorni.
Ho avuto il piacere di chiacchierare con lui pochi giorni fa. Abbiamo parlato del suo lavoro, di tennis, di passato, di futuro e – per tutti i newsletter nerd che mi leggono – di open rate.
Questa puntata di Ellissi Meets è una di quelle in cui bisogna mettersi comodi e, soprattutto, prendere appunti.
Buona lettura!
Valerio: Ciao Dan, come stai?
Dan: Ciao Valerio. Sto benissimo, le cose qui a New York procedono bene. Questa è una delle mie settimane preferite dell’anno perché iniziano gli U.S. Open. Domani andrò a vedere del grande tennis, e non potrei essere più felice.
Qual è il tuo tennista preferito?
Il giocatore che sono più curioso di vedere questa settimana è Felix Auger-Aliassime. Mi piacciono anche gli italiani, soprattutto Sinner. Così come lo spagnolo Alcaraz. E poi ovviamente seguirò le donne, a cominciare da Serena Williams, che è sempre fantastica.
Di quale tennista vorresti leggere una newsletter? Io, senza pensarci troppo, direi Nick Kyrgios.
Sicuramente Kyrgios scriverebbe una newsletter divertente, e immagino anche piuttosto strana, visto che è un tipo insolito. Spedirebbe email brevi tipo: “Ciao, oggi sono in Thailandia a bere birra e a fare surf, e qui c’è una mia foto. Ci sentiamo la prossima settimana!”. La newsletter di Serena, invece, sarebbe molto corporate.
Sì, molto Washington Post o The Times.
Esatto. Molto curata, molto professionale. Quella di Medvedev, invece, sarebbe la più noiosa: i russi non gli permetterebbero mai di dire nulla.
In effetti è probabile. Ma basta col tennis, e cominciamo l’intervista! Inbox Collective, il tuo studio di consulenza, ha compiuto tre anni ad agosto. Qual è la domanda che ricevi più spesso dai clienti? Per cosa ti cercano?
Di solito i clienti vengono a chiedermi aiuto per lanciare una nuova newsletter, oppure per monetizzare e far crescere le newsletter esistenti. Queste sono le tre richieste principali che ricevo.
Che tipo di clienti si rivolgono a te?
Quando ho lasciato il New Yorker, nel 2019, ho pensato che avrei lavorato esclusivamente con grandi redazioni di giornale. In quello stesso periodo, però, molti giornalisti e scrittori stavano iniziando a lanciare le proprie newsletter indipendenti, e durante la pandemia questa tendenza è cresciuta. Così le newsletter indipendenti e i creator sono oggi una parte importante del mio business.
Interessante. Anche io lavoro con alcuni creator, ed è molto divertente. Con loro puoi “sentire” davvero la spinta della community. Qual è l’ingrediente che ti fa dire – come lettore – “questa newsletter è davvero fantastica”?
Di solito capisco se una newsletter è buona già dalla pagina di iscrizione. Si intuisce subito quando chi scrive capisce i bisogni del proprio pubblico. Bisogna essere in grado di dire, ai futuri lettori, “questi sono i problemi che risolveremo per te, queste sono le cose che imparerai, questo è il motivo per cui meritiamo di essere nella tua casella di posta”. Mi piacciono molto le newsletter che riescono a collegare un pubblico specifico a una missione molto chiara.
Dal muro si capisce che è New York.
Prima di lavorare al New Yorker, sei stato il coordinatore delle newsletter di BuzzFeed. Quali sono le differenze principali che hai vissuto tra un’esperienza e l’altra?
BuzzFeed e il New Yorker hanno in comune molto più di quanto potremmo aspettarci. Entrambe le testate amano l’umorismo e la cultura. Entrambe sono interessate a costruire un pubblico affezionato. Entrambe puntano a informare e intrattenere i propri lettori. A BuzzFeed, quando ho iniziato, non c’era nemmeno una newsletter. Quindi la domanda era: come deve essere una newsletter di BuzzFeed? Quali formati e prodotti possono servire meglio il nostro pubblico? Al New Yorker ho fatto tesoro di queste lezioni, cercando di immaginare nuove newsletter e a migliorare quelle esistenti. La grande differenza tra le due realtà è il modello di business: a BuzzFeed era tutto incentrato sugli annunci pubblicitari; al New Yorker invece si trattava di capire come convincere i lettori a pagare e a sostenere la rivista nel tempo.
Immagino che al New Yorker, più che a BuzzFeed, sia importante “chi” scrive una newsletter, la firma. Quanto è importante la riconoscibilità degli autori per stimolare letture e abbonamenti?
Senza dubbio! Anche BuzzFeed aveva in redazione giornalisti straordinari, ma il New Yorker ha molti collaboratori famosi e geniali che ci scrivono da 10, 20, 30 o 40 anni. Ci sono, per farti qualche esempio, autori come Jelani Cobb, Susan Orlean, Malcolm Gladwell, amatissimi dai lettori. Questo tipo di firme spinge le persone a iscriversi e aprire ogni singola newsletter.
A proposito di “aprire le newsletter”, si discute molto della metrica dell’open rate: c’è chi ritiene che stia diventando sempre meno affidabile, anche a causa di nuove restrizioni alla privacy, come quelle attuate da Apple nel 2021. È vero, secondo te?
Credo che le metriche delle newsletter somiglino molto ai sondaggi nella politica. Quando ci sono le elezioni, siamo bombardati da sondaggi che ci dicono “questo candidato sta vincendo di quattro punti, o di tre punti, o di sette punti” – ma tutti sappiamo che in ogni sondaggio c’è sempre un margine di errore. I dati delle email funzionano un po’ allo stesso modo. Possono indicarci la direzione corretta, darci un senso di quanto si stia facendo bene, ma non sono mai precisi. A volte ciò è causato da problemi tecnici: magari l’email è stata tagliata, oppure un lettore ha le immagini disattivate e quindi il pixel di tracciamento non si attiva correttamente. Se il tasso di apertura delle tue email è del 30%, probabilmente non sarà il 70% e nemmeno il 5%, ma non è nemmeno davvero il 30%. È vero, le modifiche apportate da Apple hanno reso i tassi di apertura un po’ meno affidabili. In ogni caso, l’open rate ci dà un’idea decente del livello generale di coinvolgimento.
È un buon modo di vedere la cosa e un ottimo consiglio: non farti ossessionare troppo dal tasso di apertura, ma usalo come uno dei tanti indicatori per avere un’idea del successo della propria newsletter.
Proprio così. Non esiste una metrica perfetta che tutti dovrebbero utilizzare. È sempre meglio incrociare dati diversi di engagement, open rate, click rate. Per esempio, da quando ho inizato a pubblicare contenuti sul sito di Inbox Collective, guardo anche al tempo che gli utenti trascorrono sulle pagine del mio sito.
A questo proposito, sarebbe bellissimo poter conoscere il “tempo speso” da un iscritto sulla puntata di una newsletter: ci aiuterebbe a capire se le persone leggono davvero la email, se gli è piaciuta, oppure se l’hanno aperta e cestinata subito. Siamo nel 2022, abbiamo le auto a guida autonoma, ma non abbiamo questa metrica a disposizione. Come mai?
È un’ottima domanda. Ed è una cosa che ho sempre desiderato anch’io. Sarebbe una svolta epocale. Il problema è che l’email, in quanto strumento, non è controllata da un’unica azienda: ci sono tanti client e provider diversi, il che rende davvero complicato e difficile raggiungere un consenso su ciò che dovrebbe essere fatto. Al momento, nessuna azienda può decidere da sola di rendere disponibile questa metrica. Ed è anche per questo che, dal punto di vista dell’innovazione tecnologica e di design, la casella di posta tende a muoversi piuttosto lentamente. Queste difficoltà tecnologiche hanno però anche un pregio: rendono le newsletter uno strumento straordinariamente democratico. Le caratteristiche che rendono l’email difficile la rendono anche speciale.
Mi piace l’idea che l’email sia una delle ultime zone di Internet che nessuno può controllare, o peggio, possedere. Tuttavia, questo non significa che le newsletter non sia un buon affare per gli investitori, giusto? Negli ultimi anni abbiamo visto molte aziende cercare di entrare nel settore delle newsletter, o nascere di nuove, come Substack. E proprio Substack sta cercando di costruire una piattaforma molto completa e ricca di funzioni: offre la possibilità di scoprire newsletter nuove, un’app che somiglia a un social, e strumenti che stimolano la conversazione con gli iscritti. Sono curioso di sapere qual è la sua opinione su Substack e sul modo in cui si sta evolvendo. Cosa ne pensi?
Substack è una forza: ha fatto sì che molte persone si appassionassero allo strumento dell’email. Personalmente gli sono molto grato per aver dato un fondamentale impulso a questa industria: hanno davvero aiutato. Non sono i soli, però. Sono tanti quelli che lavorano per fare progredire l’ecosistema, lanciando piattaforme che rendono più facile scrivere, distribuire e monetizzare una newsletter – penso a Beehive, ConvertKit e MailChimp, ma anche a software come SparkLoop, OptIn Monster, DojoMojo. ConvertKit, per esempio, mette a disposizione dei creator una rete pubblicitaria per rendere più facile guadagnare. I pezzi del puzzle, mi sembra, stanno inziando ad unirsi. Per quanto mi riguarda, con tutta questa concorrenza a vincere saranno gli autori di newsletter, perché avranno accesso a strumenti migliori e a una scelta più ampia.
Anche le piattaforme di social media stanno cercando di entrare nello spazio delle newsletter. Meta, per esempio, ha lanciato Bulletin l’anno scorso. Come sta andando?
Lavoro con alcuni degli autori di Bulletin e ho lavorato direttamente con il team di Bulletin. Il progetto è ancora in fase di sviluppo, ma ci sono molti autori che utilizzano il servizio. Al momento credo che stiano cercando di capire quale sarà l’evoluzione della piattaforma. Quello che mi piace di Bulletin è la possibilità di inviare newsletter a una community che già esiste, come quella che si è riunita attorno a un gruppo Facebook. Ma più in generale ritengo che i social network abbiano margini di manovra in questo spazio, vedi Twitter con Revue. Detto questo, devo anche dire che è difficile costruire una nuova piattaforma di posta elettronica. È molto faticoso farlo e difficile farlo bene: è qualcosa che richiede esperienza e tempo.
Secondo te l’email, come strumento, sarà utilizzato anche dalle generazioni future?
Nessuno sa cosa ci riserva il futuro. Rispondere alla domanda “la gente userà l’e-mail tra un secolo?” è un po’ come rispondere alla domanda “su quale pianeta vivremo tra un secolo?”. Non ne ho idea! Comunque, dubito che nei prossimi anni l’email sparirà. Dopo tutto per esistere su Internet è necessario avere un indirizzo email. Serve per aprire un account social. Serve per lavorare in azienda, per inviare documenti o per scambiare idee coi colleghi, spesso in abbinata con servizi come Slack o Teams. L’email è un tassello fondamentale di Internet da qualche decennio e lo è ancora, e non è mai cambiata. L’avvento del mobile l’ha resa se possibile ancora più forte, ancora più diffusa. Credo che, fino a quando non avremo un’alternativa gratuita e affidabile all’email, questa sarà destinata a rimanere.
Mi piacerebbe concludere questa conversazione chiedendoti un suggerimento di lettura. Non ti chiedo però di consigliarmi una newsletter del presente, ma una del passato: ce n’è una, magari non più attiva o quasi dimenticata, che occupa un posto speciale nel tuo cuore?
Bella domanda, non credo che nessuno me l’abbia mai chiesto. Fammi pensare. In realtà me ne vengono in mente due. La prima è mia, è una newsletter a cui abbiamo lavorato a BuzzFeed, che adoro ed è ancora una delle mie preferite: si chiamava This Week in Cats, ed era davvero sciocca e strana. L’ho proposta durante il mio primo giorno in ufficio. Pensavo che sarebbe stata solo una newsletter divertente, ma è cresciuta fino ad arrivare a raggiungere 150.000 persone alla settimana. È stata un’esperienza straordinaria. L’altra è una magnifica newsletter che esisteva nei primi anni 2000, e che si chiamava Daily Candy. Fu una storia di grande successo: molte delle newsletter che esistono oggi hanno un legame o una connessione con quel tipo di newsletter, come theSkimm, che prende ispirazione da quello che Daily Candy faceva molti, molti anni fa. Era una grande newsletter, ma purtroppo non esiste più.
Grazie mille Dan! È stata una chiacchierata molto interessante.
Grazie a te, è stato fantastico. E ciao a tutti i tuoi lettori e lettrici!
Alla prossima Ellissi
Valerio
Ciao, mi presento. Mi chiamo Valerio Bassan e lavoro come consulente di strategia digitale nel mondo dei media e del giornalismo, per clienti italiani e internazionali. Questo post è tratto da Ellissi, la mia newsletter settimanale. Iscriviti qui.
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