New York Times, The Athletic e la scommessa da mezzo miliardo
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“Lasceremo che i giornali locali continuino a sanguinare finché non saremo gli ultimi a sopravvivere. Ruberemo tutti i loro migliori talenti. Gli renderemo la vita estremamente difficile.”
Era il 2017 quando Alex Mather sceglieva termini così aggressivi per raccontare la strategia di The Athletic, il sito di informazione sportiva che aveva fondato un anno prima insieme ad Adam Hansmann.
Linguaggio predatorio da vulture capitalist — un po’ startupper, un po’ splatter (potremmo forse dire starsplatter?).
Non c’è da stupirsi: sia Mather che Hansmann provengono proprio da quel mondo lì, dal cuore folle e frenetico della Silicon Valley.
Per anni i due erano stati colleghi a Strava, una startup di successo dedicata al tracciamento dell’esercizio fisico che si autodefinisce “il social network dei runner e dei ciclisti”.
L’idea di lanciare un nuovo progetto editoriale era nata in quegli uffici, ed era tutto sommato piuttosto semplice.
Mather e Hansmann avrebbero strappato i più talentuosi giornalisti sportivi dalle testate locali in difficoltà economica, e li avrebbero messi nelle condizioni di fare il loro lavoro in libertà (e con uno stipendio migliore).
Ai reporter sarebbe stato chiesto di scrivere meno articoli – tra i 3 e i 5 a settimana – ma più curati, più approfonditi, più narrativi.
I tabellini degli incontri avrebbero lasciato spazio alle inchieste, le interviste di fine gara alla ricerca di spunti inediti e notizie di prima mano.
L’obiettivo era quello di creare un supernetwork di giornalisti-creator grande quanto un intero continente — in grado di produrre informazione di alta qualità attorno a una passione che coinvolgeva decine di milioni di americani: lo sport.
“Penso che le pagine sportive abbiano tenuto a galla i giornali locali per un bel po’ di tempo, e che questo sostegno vitale non sia stato ricambiato adeguatamente”, spiegava Mather.
La grande novità era rappresentata, soprattutto, dal modello di business scelto per sostenere il progetto: le subscription.
Fin dal principio, infatti, per leggere The Athletic è stato necessario sottoscrivere un abbonamento.
Una cosa tutt’altro che comune nel campo delle sport news, ai tempi ancora aggrappate alla convinzione che il binomio ‘grandi numeri e pubblicità’ fosse imprescindibile, per un tema così nazionalpopolare.
Fuga per la vittoria
A Hansmann e Mather le cose, in fondo, sono andate piuttosto bene.
Dopo avere raccolto 139 milioni di investimenti, The Athletic ha assunto circa 600 persone – di cui 450 giornalisti – che oggi raccontano le vicende di 270 squadre tra baseball, football, basket e hockey sparse su oltre 47 mercati locali.
Le firme sono arrivate soprattutto alle ‘periferie dell’impero’, come promesso, e spesso erano già dotate di un proprio following locale — grazie a una lunga campagna acquisti che potrebbe ricordare una specie di Moneyball dell’informazione.
La testata in questi anni ha pubblicato diversi scoop e sperimentato con alcuni formati innovativi.
E il modello ha avuto successo. Nel 2020 The Athletic ha superato quota 1 milione di abbonati, saliti un anno dopo a 1.2 milioni. Un caso unico, nel panorama del giornalismo sportivo.
Non tutto, però, è andato per il verso giusto. Anzi.
Gli errori strategici non sono mancati. Nel 2018 The Athletic ha lanciato un ambizioso progetto video, poi terminato con la fuga rocambolesca di tutti i suoi protagonisti.
Nell’ultimo periodo gli abbonati sono cresciuti sempre più lentamente, e quasi soltanto grazie a promozioni a prezzi stracciati.
Ricordo che l’anno scorso questo cosiddetto ‘Black Friday Deal’ – un abbonamento annuale per la misera cifra di 12 dollari – mi è stato proposto per almeno sei mesi sotto forma di pubblicità su Facebook.
Durante il periodo pandemico, con la maggior parte degli eventi sportivi in lockdown, il sito ha bruciato circa 100 milioni di dollari di investimenti e ha deciso di licenziare quasi il 10% del personale, 46 persone.
Così, oltre un anno fa The Athletic si è così messa sul mercato — con una valutazione di 750 milioni di dollari.
Ci ha provato Axios, ma a spuntarla è stato alla fine il New York Times, che il 6 gennaio ha annunciato l’acquisizione della testata per 550 milioni. Duecento in meno di quelli richiesti.
Si tratta comunque di una cifra considerevole per comprare un’azienda che non è in attivo e che non lo diventerà domani: The Athletic promette di raggiungere il break even nel 2023, ma è difficile che ci riesca.
Qualcuno su Twitter ci ha ironizzato su, chiedendosi perché il Times avesse pagato 550 milioni per una testata che poteva leggere spendendo 1 dollaro al mese.
Alex Mather e Adam Hansmann.
Quattro buoni motivi
L’acquisizione di The Athletic è la seconda più cara della storia del New York Times.
Se guardiamo all’intero podio c’è poco da essere ottimisti: sia l’acquisto del Boston Globe (nel 1993 per $1.1 miliardi) sia quello di about.com (nel 2012 per $410 milioni) si sono poi rivelati dei flop clamorosi.
Si tratta dunque di un investimento molto pericoloso, ma la grey lady ha i suoi buoni motivi per rischiare. Vediamoli insieme.
1. Quota 10 milioni
Non è un mistero che il New York Times voglia raggiungere i 10 milioni di abbonati (tra carta e digitale) entro il 2025.
È altrettanto chiaro che il giornale condotto da A. G. Sulzberger abbia raggiunto una certa stagnazione nelle nuove acquisizioni, dopo l’età dell’oro durante il mandato di Trump.
Grazie al milione di abbonati acquisiti da The Athletic supererà quota 9.5 milioni, posizionandosi a un passo dal traguardo con tre anni di anticipo.
Inoltre, quando l’acquisizione sarà finalizzata, i tre principali prodotti ancillari del Times – Cooking, Wirecutter e Athletic – avranno tutti oltre un milione di abbonati.
2. Il beneficio del bundle
Se si sperimenterà con un bundle, come è plausibile, gli abbonati di The Athletic beneficeranno dell’offerta di informazione della grey lady, e quelli del Times potranno restare aggiornati sui loro sport preferiti.
Al Times pensano che l’unione delle due offerte possa aiutarli a raggiungere un nuovo pubblico di abbonati, e diventare un potente meccanismo di lock-in per chi è già subscriber.
3. L’unione che fortifica
Il New York Times metterà a disposizione di The Athletic il suo potente database marketing, i suoi strumenti di analisi dati e i suoi team di sviluppo prodotto.
Grazie a queste integrazioni, The Athletic potrà bruciare le tappe e contare su una delle infrastrutture migliori al mondo per le digital news.
“Vogliamo accelerare la nostra strategia di crescita e continuare a investirci. Pensiamo ci sia l’opportunità di rendere [The Athletic] ancora più grande”, ha detto la ceo del Times Meredith Kopit Levien.
4. Un piede nello sport e uno nel locale
Per il giornale di New York lo sport è un retropensiero: ha 45 giornalisti sportivi, contro i 450 dell’Athletic.
Comprandolo si è dotato di una robustissima redazione di talenti delle sport news attivi in ogni angolo del paese.
Inoltre, parlare ai tifosi delle squadre locali significa parlare ai cittadini di quei territori — da Dallas a St. Louis, da Portland a Savannah.
Mettere quindi il piede in tantissime counties dove la presenza del New York Times è storicamente più debole, radicandosi in territori tradizionalmente ‘di altri’.
Le (poche) certezze
Se il Times avrà fatto un buon investimento sarà solo il tempo a dirlo.
Dalle parti di Midtown sperano che questa scelta non si trasformi in una maratona, né in una corsa a ostacoli.
Nel frattempo, secondo alcuni, The Athletic è diventato parte di quell’industria dei giornali che aveva giurato di voler smantellare pezzo per pezzo.
L’avvenimento dimostra comunque tre cose.
Primo, che il trend delle fusioni tra media company iniziato un paio d’anni fa continuerà anche nel 2022.
Secondo, che anche le testate più grandi e ben posizionate, come il Times, hanno bisogno di investire per sfondare il soffitto (fisiologico) della crescita degli abbonati.
Terzo, che c’è un certo fermento nel mondo dell’editoria sportiva.
Il successo di testate come Defector – un collettivo di giornalisti fuoriusciti da Deadspin, e che conta quasi 40.000 abbonati attivi – è l’esempio che c’è fame di un certo tipo di giornalismo sportivo di qualità.
È recente anche la notizia del lancio di Sports+ da parte di USA Today (del gruppo Gannett), un servizio di informazione in abbonamento che cercherà sostanzialmente di replicare il modello iperlocale di The Athletic, fornendo aggiornamenti continui sulle squadre preferite dei lettori.
L’importante, in fondo, è non finire come The Players’ Tribune: una cometa splendente e meravigliosa, durata poco più di una notte d’estate.
Alla prossima Ellissi
Valerio
Ciao, mi presento. Mi chiamo Valerio Bassan e lavoro come consulente di strategia digitale nel mondo dei media e del giornalismo, per clienti italiani e internazionali. Questo post è tratto da Ellissi, la mia newsletter settimanale. Iscriviti qui.
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